Dopo Treviso: il dissesto si cura con la cultura della prevenzione

L’idea di Stefano Cianciotta*
Refrontolo in provincia di Treviso solo qualche giorno fa, la recente esondazione del Seveso e le violente alluvioni che hanno colpito Roma, l’Emilia Romagna, la Liguria e la Toscana agli inizi del 2014, hanno evidenziato ancora una volta come le amministrazioni pubbliche fatichino a costruire corrette strategie di prevenzione dell’emergenza.
I fatti di cronaca degli ultimi giorni, infatti, hanno messo sul banco degli imputati la Pubblica Amministrazione e la sua cronica inadeguatezza nel procedere ad una corretta analisi del rischio.

Ogni anno in Italia, secondo i dati della Protezione Civile, la mancanza di prevenzione costa al Paese circa 3 miliardi di euro. Negli ultimi 40 anni in Italia sono stati spesi oltre 140 miliardi, un prezzo altissimo che viene pagato soprattutto in termini di risorse non investite per lo sviluppo economico e per promuovere azioni di prevenzione.
Eppure il cambiamento climatico in atto, che ha determinato una radicalizzazione tropicale dei fenomeni naturali, imporrebbe un cambio di paradigma non più rinviabile. La cultura del disaster management, non a caso tra i terreni più in crescita nelle specializzazioni professionali del futuro, deve entrare nel Dna delle Pubbliche Amministrazioni.
Prevenire i disastri non significa altro che capire la natura nel suo potenziale e organizzare quanto la impatta (dalle abitazioni ai super impianti industriali) secondo un criterio di resilienza.

La cultura preventiva va oltre una logica di business che, pure, si alimenta nella generazione di un valore condiviso. Non possiamo pensare a un processo di sviluppo economico senza pensare a quelli che sono i pericoli di un territorio. Fare prevenzione significa capire i pericoli di un territorio e costruire in modo tale che le strutture siano resilienti.
Il tema del dissesto, al pari di quello della manutenzione scolastica, deve essere al centro dell’Agenda di Governo. Bene ha fatto Renzi ad accelerare sulla operatività la struttura di missione di Palazzo Chigi “contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche”, coordinata da Erasmo D’Angelis e diretta da Mauro Grassi.
La sfida adesso è quella di affrontare e risolvere i ritardi clamorosi del settore, che è a rischio di infrazione europea con pesanti sanzioni in arrivo.
L’81,9% dei Comuni italiani (6.633) ha aree in dissesto idrogeologico, e secondo il premier a breve saranno aperti 3.395 cantieri anti-alluvioni per la messa in sicurezza dalle frane e 183 opere per la depurazione degli scarichi urbani e il disinquinamento di fiumi e laghi. Bene, ma come la mettiamo con la burocrazia sui territori? Gli enti locali saranno in grado di procedere alla cantierizzazione delle opere in tempi ragionevoli? I trasferimenti dallo Stato centrale alla periferia saranno rapidi?

I numeri sul tavolo del premier, del resto, certificano un fallimento significativo della politica di prevenzione.
A distanza di 4 anni dal censimento delle opere di dissesto rilevate, infatti, solo il 3,2% degli interventi (109) risulta concluso, il 19% (631) in corso di esecuzione e il 78% fermi, ostaggi di burocrazia, in fase di progettazione o di affidamento o non ancora finanziati e comunque ancora molto lontano dalla fase di cantiere. Restano da spendere sul tavolo circa 4 miliardi di euro.

Il Governo ha affidato alla Struttura di missione misure straordinarie e il compito di fare regia e coordinare tutte le strutture dello Stato (Ministeri, Protezione civile, Regioni, Enti locali, Consorzi di bonifica, Provveditorati alle opere pubbliche, Genio Civile ed enti e soggetti locali), per trasformare in cantieri oltre 2,4 miliardi di euro non spesi dal 1998 per ridurre stati di emergenza territoriali (casse di espansione e vasche di laminazione di fiumi e torrenti, argini anti-alluvioni, briglie per regimentazione acque, messa in sicurezza di frane, stabilizzazione di versanti a rischio crollo, riattivazione di linee Fs locali interrotte e di ponti e infrastrutture viarie di Anas).
In più nel bilancio dello Stato sono utilizzabili e ancora non spesi né impegnati in fase di cantiere 1.6 miliardi di euro, stanziati con Delibera Cipe nel 2012 per opere urgenti di fognature e depuratori nelle Regioni del Sud e da concludere entro il 2015 (la maggior parte tra Sicilia e Calabria).
Solo se la Struttura di missione riuscirà a monitorare e a incidere sui tempi e sulle modalità della spesa a livello locale allora possiamo dire che avrà avuto successo.

Dida: L’impatto economico e la perdita di vite umane negli ultimi 12 anni
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da: Competere [info@competere.eu]


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