TERREMOTO NELL’ITALIA CENTRALE.
24 agosto 2016 – Terremoto devasta il Centro Italia, almeno 73 morti in provincia di Rieti e tra Umbria e Marche.Una scossa di magnitudo 6.0 è stata registrata alle 3:36, una seconda scossa di magnitudo 5.4 alle 4:33. Un forte terremoto ha colpito nella notte l’Italia centrale provocando almeno 73 morti (ultimo bilancio provvisorio) e un numero imprecisato feriti e dispersi. Una scossa di magnitudo 6.0 è stata registrata alle 3:36 con epicentro vicino Accumoli, in provincia di Rieti, a soli 4 chilometri di profondità. Una seconda scossa di magnitudo 5.4 è stata registrata alle 4:33 con epicentro tra Norcia (Perugia) e Castelsantangelo sul Nera (Macerata) ed ipocentro a 8,7 chilometri di profondità. Crolli sono segnalati ad Arquata del Tronto, ad Accumoli e ad Amatrice. Rasi al suolo Pescara del Tronto (Ascoli Piceno) e Arquata del Tronto. Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche le regioni colpite.
I numeri per le emergenze: 840840 (Protezione civile) e 803555 (Sala operativa della Protezione civile Lazio) da: Redazione Tiscali

25 agosto 2016 L’Italia è un paese a elevata sismicità. Da Nord a Sud, ricorda ‘ilmeteo.it’, nel corso dei secoli, si sono avuti numerosi terremoti, anche di forte intensità, che hanno provocato ingenti danni e numerose vittime. Nella mappa, in viola, le zone a maggiore rischio sismico. Come si nota nella foto tutto l’Appennino Centro-Meridionale presenta una colorazione viola acceso, identificando aree a forte rischio sismico. Nel Nord Italia, a rischio l’estremo Nordest, in particolare il Friuli Venezia Giulia. Meno sismico il Nordovest. Redazione Tiscali

30 agosto 2016 – Ecco quanti morti ci saranno in caso di sisma: dai 160mila di Catania agli 85mila di Reggio. L’elenco agghiacciante della Protezione Civile
In un dossier de L’Espresso i dati risultanti da migliaia di schede mai rese pubbliche da cui risultano i ritardi e le carenze del nostro Paese in caso di terremoto
I morti sarebbero 160mila a Catania, 111mila a Messina, 85mila a Reggio Calabria, 7mila a Roma e 1000 a Milano. I dati sono contenuti in un rapporto della Protezione Civile da cui emergono anche le carenze del sistema di prevenzione e dei meccanismi di soccorso. A darne conto sull’Espresso è Fabrizio Gatti. Il settimanale è riuscito a mettere mano alla banca dati del dipartimento in base a cui viene pianificata l’emergenza in caso di terremoto. Si tratta di migliaia di schede “riservate, aggiornate periodicamente e mai rese pubbliche”.
Numeri agghiaccianti
Viene previsto il numero di crolli, le case inagibili o danneggiate ed anche il numero delle vittime. Numeri, questi, definiti giustamente agghiaccianti: “161.829 a Catania, 111.622 a Messina, 84.559 a Reggio Calabria, 45.991 a Catanzaro, 31.858 a Benevento, 19.053 a Potenza, 73.539 a Foggia, 24.016 a Campobasso, 20.683 a Rieti. Nemmeno Roma verrebbe risparmiata con 6.907 abitanti sotto le macerie. A Verona sarebbero 7.601, a Belluno 17.520, a Brescia 5.224. Anche Milano dovrebbe organizzare le ricerche e il soccorso di 962 persone travolte dai crolli e l’assistenza a 26.400 senza tetto. Venezia sarebbe coinvolta con 2.449 persone in crolli e oltre 28.000 senza tetto. Brescia con 5.224 tra morti e feriti e 38.321 senza tetto. Vanno poi sommati gli effetti nei paesi e nelle città vicine, aggravando così il bilancio del disastro”.
Tanto tempo perso
Si tratta della conferma di quanto tempo si sia perso e di quanto siano risultate inutili le lezioni inferte dai disastri dell’Emilia e dell’Aquila del 2009, o dell’Irpinia del 1980. Cosa accadrebbe se queste città venissero colpite nuovamente oggi con scosse della stessa intensità? L’impressione è che poco sia stato fatto e tante occasioni siano state perse. Il rischio esiste sempre. Come esiste particolarmente nell’Italia Centrale e Meridionale. Nonostante i rilevanti costi sostenuti.
I costi
Secondo un rapporto dell’ufficio studi della Camera, “dal 1968 al 2009 la gestione dell’emergenza e la ricostruzione in Italia sono costate 135 miliardi di euro. Di questi, 92 miliardi sono stati stanziati dallo Stato. Gli effetti sui conti pubblici si sentono ancora. Per il terremoto del Belice in Sicilia (1968), gli impegni di spesa finanziati da leggi e decreti termineranno nel 2018. Per l’Irpinia (1980), nel 2020. Per le Marche e l’Umbria (1997), nel 2024. Per il Molise (2002), nel 2023. Per l’Abruzzo (2009), nel 2033. Soltanto per il Friuli (1976) il capitolo ricostruzione è stato definitivamente archiviato, ma gli stanziamenti hanno impegnato lo Stato fino al 2006”.
Prevenzione insufficiente
La prevenzione è attualmente insufficiente. “Se confrontiamo il database riservato della Protezione civile con la media mondiale, finiamo direttamente tra i Paesi arretrati – scrive l’Espresso – . Ipotizzando un sisma di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale, intensità ritenuta possibile perché già registrata in passato, si prevedono fino a 11.000 morti e più di 15.000 feriti. La media mondiale per un sisma di quel livello si ferma a 6.500 morti e 20.500 feriti. In Giappone a 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri tra Italia e Giappone è chiaramente dovuta alle tecniche di costruzione impiegate e agli investimenti nella prevenzione”.
L’Italia non è pronta
L’Italia insomma non sarebbe assolutamente pronta ad affrontare cataclismi di un certo tipo. Il giornalista racconta di aver fatto un giro di telefonate a funzionari pubblici delle questure e delle prefetture di Roma, Potenza, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria e Catania. “E praticamente nessuno, alla pari degli abitanti di queste città, è consapevole del rischio. La stessa macchina dei soccorsi, che in Friuli e in Irpinia poteva contare sui militari di leva, si appoggerebbe oggi soltanto sui vigili del fuoco e su pochissimi gruppi di volontari specializzati nelle operazioni di ricerca dei feriti e di recupero dei cadaveri. Lo si è visto a L’Aquila”.
Le mappe
Vanno adeguate e aggiornate inoltre le mappe delle zone sismiche “tenendo conto dei valori di magnitudo definiti in base alla storia sismica e alla sismotettonica di un dato luogo. Questo metodo deterministico è già disponibile e applicato da diversi anni. Non c’è bisogno di produrre altre mappe. Esistono già dal 2000”.
A questo proposito “Trieste guida da anni la sperimentazione in Italia sulla previsione dei terremoti. Due algoritmi analizzano le variazioni nella sismicità di fondo e la confrontano con i dati che hanno preceduto o accompagnato i terremoti nel passato. Sono gli stessi algoritmi che lo scorso anno hanno segnalato con settimane di anticipo la possibilità di un forte terremoto in Friuli o in Emilia. E che ora tengono alta l’allerta nel Centro e nel Sud Italia”.
Le Regioni
Certo “i terremoti non si possono prevedere con precisione – precisa l’Espresso – Una previsione, pur non essendo dettagliata nell’indicare il luogo o il giorno, non serve a evacuare milioni di abitanti”. Basterebbe però “che le Regioni ne approfittassero per allertare le reti di soccorso. Un terzo dei sindaci in Calabria, che tra l’altro è una delle regioni del Sud dove la Protezione civile è più allenata, non ha un piano comunale. Significa che, in caso di emergenza, gli abitanti non saprebbero dove raccogliersi e i soccorritori dove portare i feriti. Così come a Priolo, Milazzo, Manfredonia il pericolo aumenta per la presenza dei grossi impianti chimici. Luoghi dove ci si rassegna alla scaramanzia non essendoci obbligo di prevenzione”.
Edifici pubblici a rischio
Inutile ribadire quanto tempo si sia perso per sopperire a tali carenze. “Il tempo perso – fa notare Gatti – lo si vede negli edifici pubblici tuttora a rischio. In Sicilia 1.050 scuole su 2.300 sono a vulnerabilità sismica alta o medio alta. In Calabria 2.300 su 3.900. In Campania 2.600 su 4.400. A Catanzaro il deposito di pronto intervento è stato da poco potenziato con 876 tende, 21 impianti elettrici da campo, 37 gruppi elettrogeni, 24 torri faro.
L’esigenza di messa in sicurezza dei territori
“Abbiamo popolazioni inconsapevoli del rischio e perciò esse stesse poco esigenti verso chi le amministra”, ebbe modo di dire l’allora direttore della Protezione civile, Franco Gabrielli: “In questi due anni e mezzo, girando per il Paese, ho notato sempre grande sensibilità sulle risorse da destinare agli esiti di eventi calamitosi, essenzialmente risarcimento dei danni che negli ultimi anni hanno riguardato oltre l’80 per cento delle somme erogate. Mai per una seria politica di messa in sicurezza dei territori. Ancora troppi Comuni non hanno piani di protezione civile. E quelli che esistono, in massima parte, non sono conosciuti dai cittadini”. da: Tiscali redazione

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31 agosto 2016. La notte del sisma che il 24 agosto ha fatto tremare l’Italia centrale, il satellite giapponese ALOS-2 ha compiuto un’osservazione di emergenza in risposta al terremoto con epicentro ad Amatrice. Il satellite, lanciato in orbita il 24 maggio 2014 dalla Japan Aerospace Exploration Agency, aveva a bordo il radar PALSAR-2, un radar che non necessita di fonti di luce tipo il sole, con il vantaggio di fornire immagini satellitari sia di giorno che di notte, e con frequenza di trasmissione e ricezione a microonde a banda L, meno influenzata da nuvole e pioggia. Un radar adatto ad osservazioni in ogni stagione e al monitoraggio, in tempi rapidi, di disastri ambientali.
La JAXA, raccolti i dati, ha quindi pubblicato attraverso l’Earth Observation Research Center, il suo centro di ricerca di osservazione terrestre, quattro immagini: la prima, con la figura dell’Italia e, racchiusa in un quadrato, la zona del sisma osservata dal satellite; la seconda, con l’immagine interferometrica del territorio colpito e dove sono visibili le deformazioni del terreno, ricavata dai dati acquisiti da ALOS-2 prima del sisma (9 settembre 2015) e dopo il sisma (24 agosto 2016); la terza e la quarta, con i danni subiti, rispettivamente, da Amatrice e Illica, ottenute confrontando i valori di coerenza interferometrica prima e dopo il sisma. Non era comunque la prima volta che un radar su satellite JAXA osservasse l’Italia centrale dopo un terremoto. Era accaduto nel 2009 dopo il sisma in Abruzzo.
L’osservazione via satellite, in caso di terremoti, è fondamentale per valutare la natura dei danni. Uno strumento che coadiuva le missioni a terra, come, ad esempio, la ricerca della faglia generatrice. Un esempio è la missione di squadre di ricercatori, tecnologi e tecnici dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che dalle sedi di Roma, Ancona, Grottaminarda, Bologna, Pisa, Milano già all’alba del 24 agosto si sono “tempestivamente” organizzate per raggiungere il teatro del sisma.
In Giappone un’altra immagine è stata diffusa dalla Geospatial Information Authority of Japan che utilizzando i dati di ALOS-2 ha applicato l’analisi interferometrica per misurare la deformazione della crosta terrestre causata dal terremoto.
Dal Giappone all’Italia dove i ricercatori INGV e del CNR-IREA – l’istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente – grazie ai rilevamenti del satellite giapponese sono riusciti a individuare la “faglia sorgente” del sisma di Amatrice analizzando i “movimenti permanenti del terreno”, dove è stato individuato un “abbassamento del suolo a forma di cucchiaio” di circa 20 chilometri in direzione nord e con un valore massimo di circa 20 centimetri nell’area di Accumoli e con la faglia localizzata fra Amatrice e Norcia. “La faglia sorgente del terremoto di Amatrice” spiega Stefano Salvi, ricercatore INGV “si colloca a pochi chilometri di profondità nella zona compresa tra Amatrice e Norcia, passando sotto Accumoli. Si tratta di un piano di frattura lungo circa 25 km che si immerge verso sud ovest (verso Rieti) con una inclinazione di 50°. Tale piano corrisponde ad una faglia in parte già nota da studi geologici di superficie. La conoscenza di dettaglio della posizione e delle caratteristiche delle sorgenti sismiche è un elemento fondamentale per la gestione dell’emergenza ed è importante anche per la redazione di mappe di pericolosità sismica sempre più affidabili”.
Dopo il sisma, l’INGV e CNR-IREA hanno diffuso una mappa della deformazione ottenuta elaborando le immagini radar del satellite ALOS-2 acquisite il 9 settembre 2015 e il 24 agosto 2016. Nella mappa la zona in rosso evidenzia l’area affetta dall’abbassamento – allontanamento dal radar – dovuto al sisma. Anche in questo caso è stata utilizzata l’interferometria differenziale, una tenica, spiega Riccardo Lanari direttore del CNR-IREA, che consente, attraverso il confronto di immagini radar acquisite prima e dopo un evento, di “rilevare deformazioni della superficie del suolo con accuratezza centimetrica”. La mappa dei movimenti del suolo è stata poi utilizzata per sviluppare dei modelli fisico-matematici della faglia che ha originato il terremoto. Tecnicamente le faglie, sintetizza l’INGV, “possono essere visualizzate come dei piani di frattura lungo i quali si ha lo scorrimento dei due blocchi di crosta terrestre: quando il movimento è molto rapido si genera un terremoto”.
I ricercatori hanno, quindi, diffuso una seconda immagine con la “localizzazione preliminare del piano di faglia” che ha generato il terremoto di Amatrice. Nell’immagine un rettangolo rappresenta la proiezione in superficie del piano di frattura, mentre i colori indicano la quantità di scorrimento, con valori in metri, avvenuto durante la frattura. Nell’immagine si vedono anche dei pentagoni rossi, che indicano i “due eventi maggiori della sequenza” al 25 agosto, mentre dei cerchi bianchi indicano tutte le repliche, sempre al 25 agosto. Studi assai utili al Dipartimento della Protezione Civile che durante un’emergenza sismica necessita di un “quadro sinottico delle deformazioni e degli spostamenti del suolo causati dal sisma nell’area epicentrale”.
Nel frattempo l’INGV, che dalla notte del sisma ha continuato ad emettere i suoi bollettini, ha diffuso il 30 agosto un primo rapporto di sintesi sul terremoto di Amatrice con un “primo quadro interpretativo” dell’evento ricostruito grazie all’analisi dei dati sismologici, geologici, geodetici raccolti dalle reti di monitoraggio e dalle squadre di ricercatori e tecnici sul terreno.
Altri occhi sul sisma sono stati quelli di COSMO SkyMED, un sistema di osservazione satellitare terrestre per scopi civili e militari, sviluppato dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con il Ministero della Difesa, costituito da quattro satelliti con radar ad apertura sintetica in banda X per osservazioni attraverso le nuvole o in assenza di luce solare.
Il 26 agosto l’ESA, l’agenzia spaziale europea, ha, invece, diffuso un interferogramma ottenuto da due passaggi radar di suoi satelliti: quello, del 20 agosto scorso, di Sentinel-1B, quindi quello del 26 agosto di Sentinel-1 e dove è possibile osservare i cambiamenti avvenuti a seguito del terremoto. Nell’interferogramma sono visibili sette frange interferometriche corrispondenti a circa 20 cm di superficie deformata nella linea visiva del sensore radar, con ciascuna frangia, associata a un ciclo di colore, corrispondente a circa 2,8 cm di spostamento. Il 29 agosto l’ESA ha, quindi, diffuso un interferogramma dei ricercatori CNR-IREA realizzato utilizzando i dati del radar Sentinel-1 del 15 e del 27 agosto 2016 con l’interferogramma che mostra le deformazioni del suolo provocate dal sisma del 24 agosto, quindi, un secondo interferogramma realizzato, sempre dagli stessi ricercatori, utilizzando i dati di Sentinel-1 del 15, 21 e 27 agosto, con l’interferogramma che mostra, come nel primo caso, le deformazioni del terreno. Infine, una terza mappa, frutto degli studi dei ricercatori INGV utilizzando i dati di Sentinel-1, anteriori e posteriori al sisma, per il calcolo della posizione, geometria e scivolamento sulla faglia sorgente.
Gli occhi del cielo, i satelliti, sono importanti. Nel caso del sisma che ha colpito l’Italia centrale, le immagini satellitari hanno consentito ai ricercatori, spiega l’ESA, di “quantificare il movimento del suolo sia in direzione verticale che in direzione est-ovest, combinando le scansioni radar ottenute dai satelliti che hanno sorvolato l’area sia da sud a nord che da nord a sud”. I satelliti hanno fotografato ciò che è tipico della penisola italiana, culla di terremoti per la “presenza di linee di frattura create dalla separazione delle placche tettoniche africana ed eurasiatica”. Una linea di frattura, che separa le due placche, che “corre” sotto l’Appennino centrale e lungo la costa adriatica.
Quegli Appennini che attraversano l’Italia come la zip di uno stivale a cerniera.
di Stefania Elena Carnemolla da Tiscali redazione
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6 settembre 2016 – Ecco la mappa del rischio terremoto di tutti i comuni italiani regione per regione
Seleziona una regione . Da: tiscali redazione
Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. La zona 1 è quella di pericolosità più elevata, potendosi verificare eventi molto forti, anche di tipo catastrofico.
A rischio risulta anche la zona 2, dove gli eventi sismici, seppur di intensità minore, possono creare gravissimi danni(Campania: Napoli e gran parte della provincia).
La zona 3 è caratterizzata da una bassa sismicità.
Infine, la zona 4 è quella che nell’intero territorio nazionale presenta il minor rischio sismico, essendo possibili sporadiche scosse che possono creare danni con bassissima probabilità.


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