Metà dei cinesi non conosce i prodotti agroalimentari italiani, ma va? La ricerca condotta da Nomisma Wine Monitor per l’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies evidenzia purtroppo una realtà ben nota
Abbiamo utilizzato il provocatorio “ma va?” alla fine del nostro titolo non certo per denigrare i risultati della ricerca realizzata da Nomisma Wine Monitor per l’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies, ma perché, purtroppo, non si può ritenere sorprendente che la “metà dei cinesi non conosca i prodotti agroalimentari italiani”.
Anzi, saremmo curiosi di sapere quali informazioni hanno sui prodotti tipici italiani l’altra metà “erudita” dei cinesi.
Ma facciamo un passo indietro.
La ricerca condotta da Nomisma Wine Monitor ha coinvolto un campione di 1.000 cittadini dal reddito medio-alto residenti a Pechino e Shanghai. Un campione, quindi, decisamente autorevole sotto il profilo economico e culturale (non si è andati a ricercare risposte nelle vaste campagne cinesi). La ricerca comunque proseguirà coinvolgendo ulteriori 1.000 consumatori di Canton e Hong Kong, sempre rappresentativi dell’upper class.
Allo stato attuale, comunque, l’indagine condotta nelle due metropoli cinesi ha evidenziato che è la pasta la più conosciuta dai cinesi, nominata dal 31% di coloro che danno un’indicazione di prodotto, seguita dai brand Ferrero (10%) e Illy (4%). E mentre restano appena fuori dal podio la pizza (4%) e l’olio d’oliva (3%), a sorpresa il Tiramisù batte spaghetti, Barilla, formaggio e maccheroni. La classifica del vino vede premiati Barolo (13%), Amarone (7%) e Chianti (6%), seguiti però da risposte come “Piemonte”, “Docg”, “Italia”, “vino italiano”, “vino rosso” e “Toscana”, indicazioni che evidenziano una sostanziale confusione culturale rispetto al nostro prodotto enologico.
Inoltre, quasi 7 cinesi su 10 associano la categoria “vino” alla Francia, mentre sono solo 2 su 10 quelli che si orientano verso l’Italia. Un risultato che migliora solo leggermente quando si parla di cibo, con il Belpaese menzionato da un quarto del campione, dietro al Giappone (37%), ma prima di Francia (15%) e Usa (14%).
Alla luce di tali risultati, Silvana Ballotta, ceo di Business Strategies, con una lunga esperienza sul mercato cinese ha dichiarato: “L’equazione Italia-buona tavola è un’associazione che non può ancora essere data per scontata in Cina. A fronte, infatti, di un mercato in crescita e di un primo trimestre record a + 41,4% per il vino italiano, solo la metà dei consumatori dimostra di saper associare al nostro Paese almeno un prodotto enogastronomico. Questa mancanza, da un lato di conoscenza e dall’altro di promozione, si traduce in un deficit di comprensione sul fronte consumer e in una conseguente difficoltà di posizionamento per i nostri produttori, a vantaggio dei competitor”.
Una storia “vecchia”, quella raccontata da questa ennesima indagine, che purtroppo conferma il ritardo del nostro made in Italy agroalimentare sul mercato cinese.
Non può rendere troppo ottimisti nemmeno osservare che la quota di mercato del vino italiano in Cina sia passata da circa il 5% del 2015 a poco più del 7% del primo trimestre 2018 perché lo riteniamo ancora frutto non di un’azione strutturale del nostro Paese ma solo della capacità di alcune nostre aziende e della perdurante frammentazione di iniziative promozionali e b2b sul grande mercato asiatico.
Più incoraggiante, sicuramente, l’aumento del prezzo medio del nostro vino esportato in Cina passando dal 2015 al 2017 da 3,63 a 4,72 dollari.
Ma siamo onesti, sarebbe illusorio e sbagliato pensare che in Cina l’Italia del vino sia in una reale fase di crescita, organizzata, pianificata e conclamata.
Nella migliore delle ipotesi siamo, speriamo, forse agli albori di un processo di sviluppo di questo mercato.
Nei giorni scorsi l’autorevole sito WineNews ha pubblicato la notizia che dietro la crescita attuale del vino italiano in Cina ci sarebbe la regia dell’Ice, l’agenzia per la promozione del made in Italy all’estero, diretta emanazione del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
In particolare, secondo la notizia riportata da WineNews l’Ice si sarebbe fatto carico di coordinare e mettere insieme tutti gli sforzi di promozione realizzati da realtà come Vinitaly, Slow Food, Gambero Rosso, Federvini, Uiv e Federdoc.
Non ci piace fare le Cassandre rispetto ad annunci di questa natura e quindi speriamo veramente che sia decollato un serio progetto di coordinamento della promozione del vino italiano in Cina.
Ma non rimproverateci di essere dei pessimisti se dopo tanti anni nutriamo qualche dubbio.
Fabio Piccoli wine meridian web
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