RIUNIONE – 12 NOVEMBRE 2013 – HOTEL ROYAL PROGETTOCITTADINICAMPANI
x un piano alternativo dei rifiuti

INVITO
Alle ore 18:00 di MARTEDI’ 12 NOVEMBRE 2013 all’Hotel Royal-Continental in via Partenope, sei invitato a partecipare alla riunione organizzativa dei
“Cittadini Campani per un Piano Alternativo dei Rifiuti” in vista della marcia
#STOPBIOCIDIO del 16 NOVEMBRE 2013 a Napoli.
Una regione intera si mobilita per manifestare PACIFICAMENTE il proprio dissenso e la propria indignazione per la devastazione ambientale e le terribili conseguenze alla salute pubblica nella nostra regione.
Sono molti e tutti giusti i motivi della protesta e, passo dopo passo, stanno diventando patrimonio comune.
Un popolo nuovo sta scendendo in piazza partecipando, con rabbia e positiva determinazione, alle tante MARCE PER LA VITA che come Cittadini Campani abbiamo contribuito ad organizzare in questi mesi.
La corretta informazione e la consapevolezza sono propedeutiche all’azione ed alla RIVALSA. In questo percorso, la società civile ed illuminata deve riconoscersi ed AGIRE SUBITO dando il suo valente contributo.
Parti importanti di questa città sono chiamate ORA ad intervenire con le proprie capacità professionali, le competenze culturali, le generose relazioni sociali per dire:
STOP ad una tremenda e indecorosa EMERGENZA ventennale
STOP al biocidio a NAPOLI e in Campania
Siamo tutti un #fiumeinpiena ed giunta l’ora di dimostrarlo: VIENI CON NOI !
ADESIONE e CONTRIBUTI
I “Cittadini Campani per un Piano Alternativo dei Rifiuti” aderiscono alla manifestazione pacifica ed apartitica #STOPBIOCIDIO di Sabato 16 Novembre 2013 sostenuta da tutte le reti, i coordinamenti, i comitati, i gruppi, le associazioni e tutti i singoli cittadini impegnati nelle giuste battaglie per la civiltà, il diritto e la dignità della Campania.
Il Progetto dei CITTADINI CAMPANI contempla e condivide i punti contenuti nell’appello democratico lanciato dai giovani attivisti di #fiumeinpiena ed intendono contribuire attivamente all’arricchimento dei saperi e delle progettualità di cui la marcia sarà fiera portatrice, nell’intento comune di ampliare la consapevolezza del popolo.
La protesta si faccia spazio nell’ignobile silenzio e nel ritardo ventennale delle istituzioni per lasciare VALIDE PROPOSTE in eredità a tutti i cittadini, affinché si avvii una nuova stagione dove qualsiasi tipo di rifiuto urbano o di natura industriale, si trasformi in un prodotto riciclabile che generi lavoro, non inquini e non uccida.
A tal proposito, rimettiamo in forma schematica i punti di una piattaforma politica condivisa che, perseguendo con tenacia la filosofia RIFIUTI ZERO, si contestualizza in Campania, nel Piano Alternativo dei Rifiuti e, nel resto della nazione, con la presentazione della legge rifiuti zero. Una proposta di Legge di Iniziativa Popolare, forte di 80.000 firme di gente comune raccolte in tutta Italia e che, nella nostra regione, si è affermata con la meritevole azione di tanti volontari e comitati aderenti e con la stesso sentimento e la stessa ragionevolezza con cui ci si accinge a MARCIARE UNITI.
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1. Presentazione ed affermazione del Piano Alternativo dei Rifiuti dei Cittadini Campani
Raccolta differenziata “porta a porta” per la separazione dell’umido dall’indifferenziato e dai materiali riciclabili quali vetro, plastica, alluminio, cartone, carta, etc. Un servizio pubblico, obbligatorio e sanzionabile, che segua, da subito, uno schema di attuazione rapido per tutti i quartieri della città di Napoli ed i comuni della regione dove ancora non è in uso.
Impianti specifici di compostaggio per il trattamento della parte umida per la sua trasformazione in compost, un terriccio fertilizzante la cui qualità deve essere monitorata e garantita affinché sia compatibile con la coltivazione di prodotti alimentari.
Impianti di trattamento meccanico manuale, non inquinanti, per il recupero del residuo indifferenziato secco il quale subendo un trattamento di riduzione ed estrusione si converte in granuli sintetici, una “materia prima seconda” a basso costo, impiegata nell’industria plastica di stampaggio e per la realizzazione di manufatti per l’edilizia.
Diniego, sic et simpliciter, all’utilizzo di discariche ed inceneritori nella gestione dei rifiuti ne qui ne altrove.
Incentivi economici, a sostegno delle imprese del settore del riciclo della materia, tesi a favorire l’allargamento della filiera con la costituzione di nuove aziende per una significativa implementazione del numero di lavoratori generici, delle figure professionali, degli addetti specializzati, etc.
Attenta politica di riduzione a monte dei rifiuti che semplifichi, per quantità e qualità, gli imballaggi nella distribuzione e nel commercio e che individui ed elimini tutti i componenti non riciclabili destinati, quindi, a contaminare l’ambiente.
Trasformazione della tassa dei rifiuti in tariffa per riequilibrare un sistema che, attualmente, assegna un ingiusto carico tributario ad un servizio, di fatto, manchevole o non reso.
Attivazione di un serio programma di informazione della popolazione, finalizzato alla corretta procedura della raccolta differenziata per aumentare la qualità oltre che la quantità delle materie riciclabili, Un sistema necessariamente coadiuvato da incentivi e premialità per i cittadini ed i condomini virtuosi.
Revoca immediata del permesso di trasferire e smaltire in Campania i rifiuti di natura tossica e/o industriale provenienti dalle altre regioni o dall’Europa. Tracciabilità e netta separazione dei rifiuti industriali prodotti in Campania dai flussi dei normali rifiuti urbani.
Detrazione dell’aliquota CIP 6 e dei Certificati Verdi destinati al sostegno delle energie alternative, da tutti i processi industriali basati sulla combustione dei rifiuti quali, inceneritori, gassificatori, biomasse etc. L’ingente flusso finanziario, infatti, falsa l’attuale gestione dei rifiuti attraendola, per lucro, verso metodologie vetuste, costose per la collettività, dannose per la salute e l’ambiente ed, ormai, inefficaci.
Divieto nazionale di rifornire gli inceneritori con materiali predisposti al riciclaggio, quali a titolo di esempio, le materie plastiche. Un dispositivo rivolto al CONAI e a tutti i consorzi nati per favorire il riciclo dei materie prime e che, invece, sono autorizzate a cedere il 30% della produzione a finalità contrarie al loro statuto.
Attuazione di vere bonifiche ambientali delle aree inquinate con un programma serio che contempli, previo rigorosa mappatura e caratterizzazione dei terreni e delle falde acquifere, un bio-risanamento puntuale con soluzioni scientifiche tese a restituire, preferibilmente, la terra alle colture. Verifiche scrupolose e controlli periodici con il diretto contributo dei cittadini e dei comitati, siano resi obbligatori.
Si avvii un serio programma di restituzione ai prodotti agricoli campani della loro rinomata garanzia di qualità, messa a repentaglio da un’emergenza che assimilando le poche terre inquinate a tutte le aree coltivate della regione, penalizza l’intera economia del comparto agricolo. Monitoraggio delle acque, dei suoli, delle colture e controllo della loro provenienza e della loro tracciabilità siano attualizzati a tutela dei consumatori e dei contadini.
Accesso semplificato e in regime di esenzione alla prevenzione, alle analisi ed alle cure per le popolazioni colpite dall’aumento epidemiologico delle malattie oncologiche e delle malformazioni genetiche.
Rinegoziazione della quota di ripartizione economica nazionale corretta non solo sulla base dell’indice di deprivazione economica ma anche sull’aspettativa di vita alla nascita che nella nostra regione è la più bassa d’Italia.
Istituzione di un osservatorio permanente di controllo delle fasi descritte del ciclo dei rifiuti ma, anche, di ricerca e di confronto tra i futuri sistemi di smaltimento e recupero dei rifiuti per efficienza, per costo e per effetti sulla salute.
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2. Sintesi della proposta di Legge di Iniziativa Popolare Rifiuti Zero
Le finalità generali del presente disegno di legge di iniziativa popolare si fondano sulle seguenti linee direttrici:
far rientrare il ciclo produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta
rispettare gli indirizzi della Carta di Ottawa, 1986
rafforzare la prevenzione primaria delle malattie attribuibili a inadeguate modalità di gestione dei rifiuti
assicurare l’informazione continua e trasparente alle comunità in materia di ambiente e rifiuti
riduzione della produzione dei rifiuti del 20% al 2020 e del 50% al 2050 rispetto alla produzione del 2000
recepire ed applicare la Direttiva quadro 2008/98/CE
recepire ed applicare il risultato referendario del giugno 2011 sull’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali.
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Per perseguire le suddette finalità, il presente progetto di legge contiene una serie di misure finalizzate a:
promuovere e incentivare anche economicamente una corretta filiera di trattamento dei materiali post-utilizzo
spostare risorse dallo smaltimento e dall’incenerimento verso la riduzione, il riuso e il riciclo
contrastare il ricorso crescente alle pratiche di smaltimento dei rifiuti distruttive dei materiali
ridurre progressivamente il conferimento in discarica e l’incenerimento
sancire il principio “chi inquina paga” prevedendo la responsabilità civile e penale per il reato di danno ambientale
dettare le norme che regolano l’accesso dei cittadini all’informazione e alla partecipazione in materia di rifiuti
introdurre forme di cooperazione tra Comuni per la raccolta porta a porta e la filiera di trattamento al fine di sviluppare l’occupazione locale in bacini di piccola-media dimensione, che favoriscano le attività di produzione e commercializzazione di materiali e prodotti derivati da riciclo e recupero di materia
In allegato, il testo completo della legge e la sua relazione illustrativa.
Saluti, claudio
FACEBOOK: cittadini campani per un piano alternativo dei rifiuti
MAIL:  cittadinicampanixunpianorifiutialternativo@inventati.org
PRESS: cittadini.campani@gmail.com
INFO:  3394542161 – 3396129657 

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LA RELAZIONE ILLUSTRATIVA
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Disegno di legge d’iniziativa popolare,
a norma dell’articolo 71, comma 2, della Costituzione, e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352
“Legge Rifiuti Zero: per una vera società sostenibile”
Relazione illustrativa della proposta di iniziativa popolare Legge Rifiuti Zero
PREMESSO che le finalità generali del presente disegno di legge di iniziativa popolare si fondano sulle seguenti linee direttrici, che modificano ed integrano le norme contenute nella parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni:
1. far rientrare il ciclo produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta, riducendo la nostra “impronta ecologica” sul pianeta tramite l’eliminazione degli sprechi e la totale reimmissione dei materiali trattati nei cicli produttivi, quindi massimizzando, nell’ordine, la Riduzione dei rifiuti, il Riuso dei beni a fine vita, il Riciclaggio e minimizzando, nell’ordine, tendendo a zero al 2020, lo smaltimento, il recupero di energia e il recupero di materia diverso dal riciclaggio.
Tale percorso rappresentato è sinteticamente indicato come “la strategia Rifiuti Zero – Zero Waste” promosso da molti anni a livello internazionale dal prof. Paul Connett e da altri;
2. proteggere l’ambiente e la salute umana secondo gli indirizzi della Carta di Ottawa per la promozione della salute del 21 novembre 1986, in particolare eliminando il ricorso alla combustione ed incenerimento dei rifiuti e le connesse emissioni nocive nel rispetto dei principi contenuti nel D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 155 in materia di qualità dell’aria ambiente, nella consapevolezza che le nostre società sono complesse e interdipendenti e non è possibile separare la salute dagli altri obiettivi e che è sempre più urgente identificare gli ostacoli all’adozione di politiche pubbliche per la salute nei settori non sanitari ed i modi per superarli;
3. rafforzare la prevenzione primaria delle malattie attribuibili ai rischi indotti da inadeguate modalità di gestione dei rifiuti, perseguendo una modifica radicale dei modelli di produzione e utilizzo delle risorse e dei materiali e puntando a strategie incentrate sul risparmio dei materiali, sulla riduzione dei rifiuti, sul riuso dei beni a fine vita e sul riciclo, minimizzando sino ad annullarlo il ricorso allo smaltimento;
4. assicurare l’informazione continua e trasparente alle comunità in materia di ambiente e rifiuti, secondo quanto prescritto dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute del 21 novembre 1986, dal D. Lgs n. 502/2006, art. 13, dalla Carta di Aalborg del 1994, affinché i cittadini siano messi in grado di controllare i determinanti di salute per la promozione della salute stessa e di partecipare alla formazione delle decisioni istituzionali per la gestione dei rischi ambientali e sanitari in tutte le fasi connesse al ciclo dei rifiuti (Convenzione di Aarhus 26.6.1998, Direttiva 2003/35/CE, Direttiva “2008/98/CE);
5. recepire ed applicare il Sesto Programma di Azione per l’ambiente della CE, in particolare in materia di riduzione dei rifiuti, che prevedeva la riduzione della produzione dei rifiuti del 20% al 2020 e del 50% al 2050 rispetto alla produzione del 2000;
6. recepire ed applicare la Direttiva quadro 2008/98/CE, laddove in particolare indica la scale delle priorità nella gestione dei rifiuti e afferma che “la preparazione per il riutilizzo, il riciclo o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia”, per cui, all’interno del recupero diverso dal riciclo, va privilegiato il recupero di materia rispetto al recupero di energia, rafforzando quanto già recepito nella normativa italiana con la modifica dell’art. 179 del D. Lgs n. 152/2006 operata dal D. lgs n. 295/2010;
7. recepire ed applicare il risultato referendario del giugno 2011 sull’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali nonché della sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012, che esclude l’obbligo dell’assegnazione del servizio tramite gara, ma permette l’affidamento diretto a proprie società interamente pubbliche, così come previsto dalla legislazione europea.
8. recepire gli indirizzi della risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 “un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” che, pur non essendo una norma cogente, costituisce un documento di indirizzo generale preparatorio sia per il settimo Programma europeo d’azione per l’ambiente, sia per la nuova direttiva quadro sui rifiuti prevista per il 2014, in particolare laddove dice, nel punto 33: “invita la Commissione a razionalizzare l’acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l’incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l’ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti….”.

Per perseguire le suddette finalità, il presente progetto di legge contiene una serie di misure finalizzate a:
1. promuovere e incentivare anche economicamente una corretta filiera di trattamento dei materiali post-utilizzo, basata su pratiche per la riduzione della produzione dei rifiuti, sulla raccolta differenziata domiciliare spinta, sulla tariffa puntuale che responsabilizzi l’utente, sul riuso dei beni a fine vita, sul riciclo dei materiali differenziati, sul recupero massimo di materia anche dai rifiuti residuali, sulla riduzione della loro pericolosità, la riprogettazione dei materiali in vista di una loro totale ricuperabilità, ribadendo l’importanza della ricerca e dello sviluppo tecnologico per la prevenzione dei rifiuti (come definita dalla Direttiva 2008/98/CE) oltre che per l’efficienza delle risorse;
2. spostare risorse dallo smaltimento e dall’incenerimento verso la riduzione, il riuso e il riciclo sia attraverso meccanismi economici automatici di premiazione dei soggetti che, applicando le migliori pratiche, ottengono i migliori risultati in termini di riduzione, riuso e riciclo, e viceversa penalizzando i soggetti che continuano ad applicare pratiche contrarie, sia finanziando i costi di avvio ai soggetti che decidono di riconvertire la gestione verso pratiche virtuose, sia sostenendo gli investimenti delle filiere legate al riuso e riciclo;
3. contrastare il ricorso crescente alle pratiche di smaltimento dei rifiuti distruttive di materiali preziosi, che smaltiti non in sicurezza o inceneriti determinano il rilascio di sostanze inquinanti dannose per l’ambiente e per la salute;
4. ridurre progressivamente il conferimento in discarica e l’incenerimento, perseguendo la progressiva dismissione degli inceneritori esistenti, a partire da una moratoria sino al 2020 delle autorizzazioni alla costruzione di nuovi impianti;
5. sancire il principio “chi inquina paga” prevedendo la responsabilità civile e penale per il reato di danno ambientale per chi inquina l’ambiente, con particolare attenzione ai reati commessi da soggetti industriali;
6. dettare le norme che regolano l’accesso dei cittadini all’informazione e alla partecipazione in materia di rifiuti e salvaguardia della salute e dell’ambiente, anche tramite il riconoscimento da parte delle istituzioni dei “Comitati dei Garanti” nominati anche dalle comunità, che collaborino con le istituzioni nella valutazione e gestione dei Piani Regionali dei rifiuti e nella verifica del loro impatto ambientale e sanitario.
Nel merito delle nuove norme inserite nel progetto di legge si sottolineano in particolare aspetti relativi al ricorso all’incenerimento di rifiuti ed alla combustione di biomasse e biogas:
Sulla tecnologia dell’incenerimento si vuole qui ribadire che gli inceneritori non eliminano affatto i rifiuti ma li scompongono trasformandoli in composti e particelle chimiche in gran parte pericolose e non sono alternativi alle discariche in quanto necessitano di una discarica di servizio per lo stoccaggio delle frazioni di rifiuti urbano non inceneribili pari a circa i due terzi dei rifiuti selezionati in ingresso agli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (T.M.B.) e per lo stoccaggio delle scorie (ceneri di fondo residue) e delle ceneri volanti dei sistemi di abbattimento e dei filtri in esito alle frazioni di rifiuti urbano incenerite pari ad un terzo dei rifiuti selezionati. Sia le ceneri che le scorie contengono sostanze tossiche quali composti organici clorurati e metalli pesanti derivati dalla scissione chimica nel processo termico, le prime normalmente ad elevata concentrazione tanto da essere classificate rifiuti pericolosi.
La tecnologia dell’incenerimento dei rifiuti è da sempre stata oggetto di fortissimo contrasto da parte di settori della ricerca scientifica, in particolare quelli della medicina ambientale e della medicina oncologica, essendo tali impianti classificati all’art 216 del Testo Unico Sanitario (G.U. n. 220 del 20/9/1994) come “impianti insalubri di classe I°”. Organizzazioni civiche delle popolazioni residenti nei territori che ospitano impianti esistenti od in progettazione, a seguito di numerosi studi ed indagini epidemiologiche hanno sviluppato la consapevolezza che l’emissione di particolato atmosferico prodotto in fase di combustione è associata alla presenza di molecole conosciute (diossine, pcb, furani, composti alogenati) con azione cancerogena e mutagena di cui sono noti gli effetti letali sulla salute umana e l’azione irreversibile di contaminazione della catena biologica.
Tale tecnologia appare in netto contrasto anche con la Direttiva 2008/98/CE, che invita gli Stati membri a prendere le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente (Art. 13) e consente all’autorità competente di negare l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti qualora ritenga che il metodo di trattamento previsto sia inaccettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente, in particolare quando non sia conforme all’art. 13 (Art. 23).
L’autorizzazione ad impianti di incenerimento di rifiuti ed ad impianti di combustione di biomasse e biogas e la relativa emissione di particolato atmosferico, anche se di composizione molto diversa, del resto appare in contrasto con le norme previste nei principi contenuti nel Decreto Legislativo 13 agosto 2010 n. 155 in materia di tutela della qualità dell’aria, in recepimento della direttiva europea 2008/50/CE relativa alla qualita’ dell’aria ambiente e per un’aria piu’ pulita in Europa.
La tecnologia dell’incenerimento dei rifiuti è da sempre stata oggetto di interventi normativi incentivanti, come il regime cosiddetto CIP6 o attualmente quello dei certificati verdi, che hanno di fatto rappresentato un ostacolo concorrenziale che ha distorto e fortemente limitato sinora lo sviluppo delle pratiche e delle tecnologie legate al riciclo e recupero di materia quali fasi preordinate nella scala gerarchica normativa, come gli incentivi richiamati dagli articoli 24, 28 e 29 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 e non ultimo quanto previsto dal DM del 6 luglio 2012 che anacronisticamente rilancia gli incentivi all’incenerimento della parte biodegradabile dei rifiuti.
Occorre anche ricordare che gli impianti industriali di incenerimento di rifiuti e gli impianti di combustione di biomasse e biogas, che producono entrambi particolato atmosferico tossico anche se di composizione diversa, hanno necessità di elevati investimenti di capitali e parimenti di elevati periodi di ammortamento del capitale in genere previsti entro i quindici anni di vita dell’impianto stesso. Tali piani di ammortamento sono garantiti dalla sottoscrizione di un contratto di fornitura di materiali in ingresso a carico delle amm.ni comunali conferenti, che prefigura il deleterio meccanismo del “vuoto per pieno”, ossia l’obbligo a pagare comunque sulla base del tonnellaggio garantito contrastando di fatto l’avanzata della raccolta differenziata e della riduzione dei rifiuti, che rappresenta oggi sulla base delle prescrizioni del Parlamento Europeo, una vera e propria ipoteca ed un ostacolo insormontabile al rispetto degli obiettivi comunitari presenti e futuri.

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LA PROPOSTA DI LEGGE
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Disegno di legge d’iniziativa popolare,
a norma dell’articolo 71, comma 2, della Costituzione, e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352
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“Legge Rifiuti Zero: per una vera società sostenibile”
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ARTICOLATO

Art. 1
Obiettivi e finalità
1. La presente legge persegue i seguenti obiettivi e finalità:
a) ricondurre il ciclo produzione-consumo all’interno dei limiti delle risorse del pianeta, tramite l’eliminazione degli sprechi, massimizzando, nell’ordine, la riduzione dei rifiuti, il riuso dei prodotti e dei componenti di prodotti e il riciclaggio, minimizzando il recupero di materia diverso dal riuso e dal riciclaggio, lo smaltimento e il recupero di energia in modo da tendere a zero nell’anno 2020. Tale percorso, inclusivo della fase di ricerca sul rifiuto residuale secco ai fini della riprogettazione industriale di beni e di prodotti totalmente decostruibili e riciclabili, è sinteticamente indicato come “Strategia Rifiuti Zero – Zero Waste”;
b) proteggere l’ambiente e la salute prevenendo e riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, secondo gli indirizzi della Carta di Ottawa per la promozione della salute del 21 novembre 1986;
c) rafforzare la prevenzione primaria delle malattie ascrivibili ai rischi indotti da inadeguate modalità di gestione dei rifiuti;
d) favorire l’accesso all’informazione e la partecipazione dei cittadini in materia di ambiente e di ciclo di trattamento dei rifiuti;
e) realizzare un programma di nuova occupazione articolato a livello regionale attraverso la costituzione di distretti del riutilizzo, del riciclo, del recupero e della riprogettazione industriale di beni e di prodotti totalmente decostruibili e riciclabili.
2. Ai fini della presente legge e degli obiettivi indicati al successivo comma 3, si applicano i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti di cui all’articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, nonché le definizioni formulate dall’articolo 183 dello stesso decreto legislativo e dall’articolo 1 della decisione 2011/753/UE della Commissione in data 18 novembre 2011.
3. Nell’ambito della previsione di cui al comma 1, lettera a), sono stabiliti per i rifiuti urbani i seguenti obiettivi minimi, validi per ciascun ente locale:
a) entro il 2016: 75 per cento di raccolta differenziata, 2 per cento di riuso, 70 per cento di riciclato e di compostato, 80 per cento di recupero di materia, 10 per cento di riduzione dei rifiuti rispetto al 2000;
b) entro il 2020: 91 per cento di raccolta differenziata, 5 per cento di riuso, 85 per cento di riciclato e di compostato, 95 per cento di recupero di materia, 20 per cento di riduzione dei rifiuti rispetto al 2000;
c) entro il 2050: 50 per cento di riduzione dei rifiuti rispetto al 2000.
4. Con riferimento ai rifiuti speciali sono formulati i seguenti obiettivi minimi:
a) entro il 2020: riduzione del 30 per cento rispetto alla produzione del 2000, riciclaggio del 90 per cento e recupero complessivo di materia al 95 per cento;
b) entro il 2050: riduzione del 50 per cento rispetto alla produzione del 2000.

Art. 2
Raccolta differenziata domiciliare
1. Le amministrazioni comunali organizzano un sistema di raccolta differenziata domiciliare, comprendente anche il rifiuto residuale, sia per le utenze domestiche sia per le utenze non domestiche. Sono privilegiate le raccolte differenziate domiciliari mono-materiale ed eventuali raccolte differenziate domiciliari multi-materiale di più frazioni sono consentite solo per i metalli e per le plastiche.
2. Ai fini del calcolo delle rese di raccolta differenziata dei rifiuti urbani:
a) sono esclusi, in quanto non assimilabili ai rifiuti urbani, i rifiuti provenienti da processi produttivi e i rifiuti provenienti dall’agricoltura e dalla selvicoltura, anche compatibili per tipo e per composizione ai rifiuti domestici, gli inerti da costruzione e da demolizione, anche provenienti da piccole manutenzioni eseguite in economia dall’utente e conferite ai centri di raccolta;
b) sono escluse le frazioni conferite a soggetti terzi rispetto al gestore o ai gestori individuati dai comuni nell’ambito della privativa;
c) sono esclusi gli scarti di selezione delle frazioni differenziate non destinati a riciclaggio.
d) sono comprese le frazioni differenziate di rifiuti raccolte dal gestore o conferite presso i centri di raccolta purché destinate a riciclaggio;
e) sono comprese le frazioni pericolose raccolte dal gestore o conferite presso i centri di raccolta, anche non destinate a riciclaggio.
3. All’articolo 183, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dopo la lettera qq) è aggiunta la seguente:
<< rr) «rifiuto urbano residuale (RUR)»: il rifiuto che è costituito da:
1) l’insieme dei rifiuti urbani raccolti dal gestore a valle delle frazioni differenziate raccolte separatamente come mono-materiale o multi-materiale (plastica/metalli) non differenziati;
2) le frazioni di rifiuto differenziato non inviate a riciclaggio, ad eccezione di quelle pericolose;
3) gli scarti della selezione delle frazioni differenziate non destinati a recupero di materia>>.
4. Le amministrazioni comunali emanano, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno specifico regolamento concernente la pianificazione e le modalità di attuazione degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti, le modalità di conferimento delle diverse frazioni di rifiuti, l’applicazione del compostaggio domestico e di zona, nonché le sanzioni in caso di mancata osservanza delle predette normative.
5. Allo scopo di facilitare il corretto conferimento, un’apposita commissione nominata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta entro il 2016, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, disposizioni di natura regolamentare per attribuire, su tutto il territorio nazionale, la medesima colorazione ai materiali e alle attrezzature utilizzati per la raccolta separata delle diverse frazioni di rifiuti.
6. Le amministrazioni comunali rendono operativo il sistema di raccolta differenziata domiciliare di cui al comma 1 nel termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Decorso inutilmente il termine indicato, in attuazione dell’articolo 3-quinquies del decreto legislativo n. 152 del 2006, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, esercita i poteri sostitutivi di cui all’articolo 120 della Costituzione.

Art. 3
Regime IVA
1. Le operazioni relative a cessioni di prodotti e di componenti di prodotti recuperati a scopo di riuso sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto quando effettuate in forma di permuta, laddove è applicata l’aliquota agevolata del 4 per cento qualora i predetti beni siano oggetto di commercializzazione.
2. Le cessioni di materiali derivanti da riciclaggio e quelle di prodotti realizzati con materiali ottenuti da riciclaggio con percentuale minima del 90 per cento, qualora non soggette ad aliquota inferiore, sono assoggettate all’imposta sul valore aggiunto nella misura agevolata del 10 per cento. Una parte del gettito ricavato, pari all’importo corrispondente all’aliquota del 4 per cento, è destinata al fondo di rotazione di cui all’articolo 17, comma 1.
3. Sono altresì esenti dall’imposta sul valore aggiunto le cessioni e le commercializzazioni di compostato derivante da trattamento della frazione organica differenziata dei rifiuti.

Art. 4
Moratoria per l’incenerimento e la combustione di rifiuti
1. Le norme relative alle fonti di energia rinnovabile non si applicano agli impianti di incenerimento e di combustione dei rifiuti, in quanto essi non rientrano tra gli impianti di produzione di energia rinnovabile, neppure quando utilizzino materiale organico diverso dai rifiuti. Le linee guida del piano di graduale dismissione di tutte le tipologie impiantistiche che fanno ricorso alle predette procedure sono definite dalla presente legge e riguardano gli impianti di incenerimento, combustione e co-combustione dei rifiuti, dei fanghi essiccati o dei residui biodegradabili, dei sottoprodotti di lavorazione, dei combustibili solidi secondari (CSS), come definiti all’articolo 183, comma 1, lettera cc), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e dei materiali che hanno cessato la qualifica di rifiuto.
2. In relazione alla pericolosità per la salute dell’uomo, è sospeso, fino al 2020, il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio degli impianti di trattamento termico e di recupero energetico, che costituiscono attività comprese nelle operazioni di cui agli allegati B e C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, che siano in fase di progettazione, di procedura autorizzativa o, comunque, non ancora entrati in esercizio.
3. Le disposizioni di cui al comma 2 hanno effetto anche rispetto a tutti gli impianti che producono o utilizzano combustibile derivato da rifiuti (CDR) o combustibili solidi secondari (CSS) in sostituzione di carburanti tradizionali.
4. Nell’articolo 183, comma 1, lettera cc), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, le parole “fatta salva l’applicazione dell’articolo 184-ter, il combustibile solido secondario è classificato come rifiuto speciale” sono sostituite dalle parole “il combustibile solido secondario è classificato come rifiuto urbano e ad esso non si applica il disposto dell’articolo 184-ter”. Conseguentemente cessano di produrre effetti tutti i decreti ministeriali adottati sulla base della normativa previgente.
5. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le disposizioni del presente articolo nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione.

Art. 5
Revoca degli incentivi all’incenerimento
1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, decadono o sono, comunque, revocate tutte le forme di incentivazione previste in attuazione della normativa pregressa, con particolare riferimento alle forme di remunerazione incentivata introdotte dalla delibera del Comitato interministeriale dei prezzi in data 29 aprile 1992 (CIP6) e ai certificati verdi di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e successive modificazioni, per gli impianti di incenerimento/combustione/co-combustione di rifiuti, di combustibili solidi secondari di gas di discarica, di gas residuati dai processi di depurazione, di bioliquidi nonché di impianti a biomasse e digestori anaerobici alimentati da rifiuti urbani e da prodotti o residui biodegradabili. La predetta disciplina si applica agli impianti in fase di progettazione e/o di procedura autorizzativa, non ancora entrati in esercizio, ovvero a quelli in esercizio e che abbiano fruito di incentivi per almeno cinque anni, compresi gli impianti in fase di proposta e/o di attuazione di ristrutturazione funzionale. La revoca degli incentivi opera anche nei confronti degli impianti industriali che usano o possono utilizzare come combustibile i residui di lavorazione o i combustibili solidi secondari.
2. Per le categorie di impianti di cui al comma 1, vengono altresì meno gli incentivi richiamati dagli articoli 24, 28 e 29 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 e le norme contenute nel decreto ministero sviluppo economico 6 luglio 2012 che sono rivolti al sostengo della produzione di energia elettrica mediante combustione di biomasse, in quanto parti biodegradabili dei rifiuti industriali e urbani come definite dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 28 del 2011, e di biogas prodotto da fonti rinnovabili.

Art. 6
Contratti per l’affidamento dei servizi
1. Le amministrazioni comunali rinegoziano, nel termine di 60 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge, i contratti sottoscritti per l’esercizio degli impianti di cui all’articolo 5, comma 1, in maniera tale da rendere nulle le condizioni contrattuali che prevedano obblighi di conferimento o quantità minime di conferimento e da prevedere la riconversione degli impianti entro tre anni, a pena di risoluzione anticipata e con esclusione di qualsiasi rivalsa e/o di applicazione di penali a favore del soggetto gestore dell’impianto. Il mancato rispetto dell’obbligo comporta l’irrogazione, da parte delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti, di una sanzione pecuniaria nei confronti degli amministratori fino ad un massimo di cinque volte l’indennità di carica percepita al momento dell’omissione. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare attiva un patto di riconversione impiantistica onde riconoscere al gestore il diritto di ottenere, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’autorizzazione all’esercizio di nuovi impianti per il trattamento a mezzo riciclo/recupero delle frazioni differenziate e della quota residuale di indifferenziato destinato a riciclo/recupero di materie prodotte nello stesso bacino di riferimento.
2. Gli impianti di cui all’articolo 5, comma 1, non riconvertiti entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono in ogni caso destinati a essere dismessi entro il 2020.
3. I soggetti che non aderiscono al patto di riconversione impiantistica sono esclusi dall’affidamento di qualsiasi nuovo contratto per la gestione complessiva dei materiali post-utilizzo, sia in forma diretta e sia in forma associata.
4. Il patto di riconversione impiantistica di cui al comma 1 fa parte del più vasto programma di riconversione impiantistica industriale, gestito con modalità di partecipazione diretta delle istituzioni, dei gestori industriali e delle comunità locali, come previsto dalla Convenzione sull’accesso alle informazioni, sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali e sull’accesso alla giustizia in materia ambientale, sottoscritta ad Aarhus il 25 giugno 1998, ratificata e resa esecutiva dalla legge 16 marzo 2001, n. 108.

Art. 7
Divieto di smaltimento dei rifiuti riusabili, riciclabili e non trattati
1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, decadono o, comunque, sono revocate le autorizzazioni riguardanti il conferimento in impianti di incenerimento o di discarica, ai sensi del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, di rifiuti urbani indifferenziati che non siano stati sottoposti a operazioni finalizzate a ricavare ulteriori beni o materiali atti al riuso, al riciclaggio e al recupero di materia, nonché quelle per il conferimento in discarica di rifiuti contenenti sostanze putrescibili non sottoposte a stabilizzazione biologica.
2. È vietato:
a) smaltire in discarica o inviare a incenerimento i rifiuti riciclabili, comprese le biomasse agricole compostabili;
b) inviare a incenerimento le frazioni di rifiuti che possono essere recuperate come materia.

Art. 8
Divieto di esportazione dei rifiuti
1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, cessano di avere efficacia le disposizioni dell’articolo 194 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, in materia di autorizzazione all’esportazione di rifiuti indifferenziati anche se trattati con le tecnologie di trito-vagliatura e di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) o di combustibili solidi secondari (CSS).
2. È altresì vietata l’esportazione, in particolare verso Paesi non appartenenti all’Unione europea, dei rifiuti differenziati pericolosi, compresi i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).
3. Le regioni assicurano l’autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani e speciali, compresi quelli pericolosi, in tutte le fasi di trattamento, attraverso l’introduzione di specifica previsione sul dimensionamento, in fase di approvazione o di aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti, relativa agli impianti di trattamento per il riciclaggio e per il recupero di tutte le frazioni differenziate e agli impianti di smaltimento in sicurezza delle frazioni residue e non recuperabili.
4. Gli spostamenti di rifiuti non riciclabili sono consentiti solo in presenza di accordi interregionali e limitatamente al tempo di realizzazione di impianti idonei al loro trattamento nell’ambito regionale, fermo restando il termine massimo di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. La predetta norma transitoria si applica, in particolare ai rifiuti speciali non pericolosi ed i rifiuti urbani non trattati da inviare ad impianti di trattamento meccanico finalizzati al totale recupero di materia, con esclusivo riferimento alle regioni nel cui territorio sia stato deliberato dal Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 5 , commi 1 ed 1-bis, della legge 24 febbraio 1992 n. 225, e successive modificazioni lo stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti.

Art. 9
Divieto di diluizione e di riciclo delle scorie da incenerimento
1. È vietato l’utilizzo diretto o la diluizione delle scorie e delle ceneri da combustione/incenerimento con altri materiali ai fini della produzione di beni o di materiali, come indicato dall’articolo 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, oppure secondo le procedure semplificate del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 5 febbraio 1998.

Art.10
Tributo speciale allo smaltimento e al recupero energetico
1. Il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, di cui all’articolo 3, comma 24 e seguenti, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, alimenta un fondo con destinazione vincolata alla riconversione del ciclo dei rifiuti ed è applicato:
a) nella misura massima a tutte le operazioni di smaltimento ai sensi dell’allegato B alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni;
b) in misura dimezzata rispetto all’importo massimo per i rifiuti urbani e speciali inviati a trattamento termico sia in impianti di incenerimento che rientrano fra quelli per il recupero energetico di cui all’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia in impianti che utilizzano i rifiuti come combustibile o per la produzione di energia, tutti avviati a spegnimento e a riconversione per effetto dell’entrata in vigore della presente legge;
c) in misura pari al 20 per cento dell’importo massimo alla frazione organica stabilizzata derivante da trattamento meccanico (FOS), maturata, raffinata, con un indice di stabilità IRD (indice di respirazione dinamico) < 1000 mgO2 (ossigeno)/ kg SV (solidi volatili in valore assoluto) e una pezzatura massima di 50 millimetri, utilizzata per la copertura giornaliera di discarica in un quantitativo massimo del 10 per cento in volume, trattandosi di recupero di materia diverso dal riciclaggio.
2. Le misure del tributo speciale sono rivalutate annualmente in relazione all’aumento dell’indice medio del costo della vita accertato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni emanano apposito regolamento per applicare:
a) ai rifiuti urbani, sconti su base comunale graduati rispetto all’importo massimo e fino all’azzeramento del tributo, calcolati in maniera inversamente proporzionale ai rifiuti procapite/equivalente inviati direttamente o indirettamente a smaltimento o a recupero energetico. Il regolamento contiene i criteri di calcolo degli abitanti equivalenti, prendendo in considerazione, per i singoli comuni, sia i flussi turistici sia la presenza di utenze non domestiche;
b) ai rifiuti speciali, uno sconto per le aziende che minimizzano la loro produzione tramite piani di ristrutturazione produttiva.

Art.11
Utilizzo del gettito del tributo speciale
1. L’intero gettito del tributo speciale di cui all’articolo 10 e dell’addizionale del 20 per cento sul tributo speciale di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dell’Autorità d’ambito di cui all’articolo 205, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, è utilizzato dalle regioni per la riconversione della gestione dei rifiuti verso il percorso indicato dall’articolo1, comma 1, lettera a), allo scopo di:
a) finanziare l’impiantistica finalizzata al riuso, al riciclaggio, al recupero di materia, al compostaggio aerobico e alla digestione anaerobica con successivo trattamento aerobico, compresi i centri per il riuso e i centri di raccolta di cui all’articolo 24 e gli impianti che recuperano, ai fini del riciclaggio, parte del rifiuto residuale nonché gli scarti delle frazioni differenziate;
b) finanziare i comuni per la riconversione dagli attuali sistemi verso la raccolta differenziata domiciliare, più efficace per la riduzione dei rifiuti e per il riciclaggio;
c) premiare i comuni che hanno minimizzato i rifiuti procapite/equivalente inviati a smaltimento o a recupero diverso dal riciclaggio;
d) sovvenzionare progetti di riduzione e di riuso;
e) finanziare centri di ricerca e istituti pubblici di ricerca, promossi anche da comunità locali organizzate in ambiti di raccolta ottimale (ARO), per il recupero spinto di materia dai rifiuti urbani residui (RUR) da raccolte differenziate domiciliari.
2. I finanziamenti per l’impiantistica di cui al comma 1, lettera a), sono erogati sulla base del criterio della percentuale di rifiuti non inviati a smaltimento o a recupero energetico rispetto ai rifiuti in entrata.
3. I finanziamenti di cui al comma 1, lettere b), c) e d), sono attribuiti previa formazione di una graduatoria che tiene conto del criterio unico basato sulla riduzione dei rifiuti inviati a smaltimento o a recupero diverso dal riciclaggio.

Art.12
Tariffa di ingresso agli impianti di smaltimento, di recupero diverso dal riciclaggio e di materiale post consumo residuale
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni provvedono a stabilire le tariffe di ingresso agli impianti di smaltimento, di recupero energetico ancora esistenti e di trattamento del rifiuto residuale, in modo da differenziarle, per comune conferente, sulla base del criterio premiale della minimizzazione del rifiuto procapite/equivalente da inviare ai predetti impianti.

Art. 13
Incompatibilità fra gestione della raccolta, gestione dello smaltimento e gestione del riciclaggio
1. Al fine di favorire un corretto sistema di gestione del trattamento dei rifiuti urbani, vige il principio di separazione di ruolo tra i soggetti pubblici gestori delle fasi di raccolta e i soggetti privati gestori della fase di smaltimento in base alla normativa previgente, con espresso divieto per questi ultimi, in quanto proprietari o gestori di discariche o di impianti di incenerimento, di partecipare alla gestione della fase di raccolta anche attraverso forme di collegamento societario con i soggetti pubblici.
2. La filiera del riciclaggio, comprensiva della riparazione, del riuso e del riciclaggio della frazione inorganica nonché del compostaggio aerobico o anaerobico della frazione organica, agevola la crescita di soggetti industriali e territoriali, pubblici e privati, organizzati in distretti del riutilizzo, del riciclaggio e della riprogettazione, di seguito denominati «distretti». Il distretto è costituito da un’aggregazione di piccole e medie imprese, legate alla comunità e fondate sull’interscambio di esperienze, di conoscenze, di progetti e di buone pratiche, che svolgono la loro attività in un sistema certificato anche parallelo al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), con utilizzo di impianti e di tecnologie a basso impatto ambientale. Le imprese operano all’interno di ambiti di raccolta ottimale (ARO), possono attivare eco-punti per la raccolta e il recupero di materiali specifici in deroga al sistema di privativa comunale, prevedendo che la loro attività sia soggetta a inserimento nei piani di gestione dei rifiuti delle regioni e delle province autonome di cui all’articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, nell’ambito di una pianificazione pubblica per la massimizzazione del riciclaggio.
3. I servizi di raccolta dei rifiuti urbani e quelli di smaltimento costituiscono servizio pubblico locale (SPL) di interesse generale, che la normativa quadro nazionale prevede siano condotti secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, senza scopi di lucro e destinando gli eventuali utili al miglioramento del servizio. La loro gestione fa capo alle amministrazioni comunali che assicurano il rispetto del principio di precauzione a tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, garantendo forme di gestione partecipata permanenti delle comunità locali e attuando il principio di prossimità. Gli investimenti effettuati per l’acquisizione delle aree e per la realizzazione degli impianti di gestione della raccolta dei rifiuti urbani, destinati ai centri di raccolta, a quelli per il riuso di cui all’articolo 24 e alle discariche pubbliche, sono esclusi dall’applicazione delle norme sul Patto di stabilità interno.
4. La proprietà e la gestione di nuovi impianti di smaltimento, attraverso discariche temporanee di rifiuti urbani non pericolosi previsti esclusivamente per il conferimento della frazione residua da trattamenti di recupero, sono pubbliche e corredate da un programma obbligatorio di volumetrie conferite nel rispetto dell’articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che fissa il criterio di residualità per la fase dello smaltimento sino al suo azzeramento finale.
5. Presso ogni impianto di smaltimento è costituito un centro di ricerca finalizzato a effettuare analisi merceologiche per individuare la tipologia e l’incidenza degli oggetti e dei materiali costituenti il rifiuto urbano residuo, oggetto di riprogettazione industriale sulla base del principio della responsabilità estesa del produttore introdotto dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205.

Art. 14
Semplificazione delle procedure per l’impiantistica del riciclo
1. In attuazione del principio generale della gerarchia di trattamento, per la realizzazione di impianti di trattamento per il riciclaggio e per il recupero sia di frazioni secche sia umide, sono privilegiate le procedure di autorizzazione accelerate e, ove previsto, semplificate ai sensi dell’articolo 214 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Le regioni, comprese quelle a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione, adottano un iter amministrativo che, lasciando fermi i termini più brevi vigenti, imponga la conclusione del procedimento e il rilascio del titolo autorizzativo a cura dell’amministrazione competente entro e non oltre dodici mesi dalla data del deposito del progetto definitivo da parte del soggetto richiedente.
2. Gli impianti che godono del descritto regime speciale provvedono esclusivamente al trattamento per il recupero di materia e sono identificati nel modo seguente:
a) impianti per la selezione dei rifiuti urbani indifferenziati dedicati alla massimizzazione del recupero di materia al fine del riciclaggio ovvero provvisti di linea di presso-estrusione delle plastiche e di produzione di materia prima secondaria, con esclusione di quelli destinati alla produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) o di combustibili solidi secondari (CSS);
b) impianti di compostaggio aerobico, compresi i cosiddetti impianti di compostaggio aerobico elettromeccanici, e impianti di digestione anaerobica con successivo compostaggio aerobico alimentati con la frazione organica rifiuti solidi urbani (FORSU), con capacità di trattamento inferiore a 36.000 tonnellate annue e con potenza elettrica inferiore a un megawatt;
c) impianti di selezione e di riciclo di frazioni secche differenziate, con eventuale linea di presso-estrusione delle plastiche e di produzione di materia prima secondaria con capacità di trattamento inferiore a 36.000 tonnellate annue;
d) centri per il riuso e centri di raccolta di cui all’articolo 24.
3. L’attività degli impianti di digestione anaerobica, tra cui quelli previsti dal comma 2, lettera b), è autorizzata alla produzione di biogas con espressa finalizzazione alla trasformazione della totalità del biogas in bio-metano, tramite trattamenti di purificazione e di adeguamento alle caratteristiche richieste dai gestori della rete, privilegiando l’immissione nella rete pubblica di distribuzione, fatta salva la quota di bio-metano da biogas impiegato negli impianti di bassa potenza termica ed elettrica per il fabbisogno energetico necessario al funzionamento degli impianti stessi e l’obbligo del trattamento della frazione residua del digestato in impianti di compostaggio aerobico per la produzione di compost di qualità. È altresì previsto l’uso del bio-metano da biogas come carburante per autotrazione da commercializzare nelle reti autorizzate, specialmente in caso di assenza di rete pubblica di distribuzione del gas. Dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietato il ricorso alla combustione del biogas non purificato e prodotto con il descritto processo tecnologico, e tale divieto di combustione del biogas è esteso a tutti i nuovi impianti di digestione anaerobica con successivo trattamento aerobico di qualsiasi dimensione e alimentati sia da FORSU e sia da scarti agricoli che producono compostato idoneo all’impiego in agricoltura e nel giardinaggio, nonché agli impianti a biomasse derivate da altre frazioni organiche provenienti da rifiuti in generale.
4. Gli impianti che hanno ottenuto l’autorizzazione all’esercizio delle attività con procedura semplificata non possono nel tempo essere autorizzati a trattare materiali in ingresso diversi da quelli originariamente previsti. Entro e non oltre il termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare emana un apposito decreto con cui vengono definite le procedure amministrative e stabilite le caratteristiche tecnologiche e costruttive degli impianti, in ordine alle operazioni di immissione in rete e commercializzazione del bio-metano da biogas di cui all’art. 20 e 21 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.

Art. 15
Tariffa puntuale
1. La tariffa puntuale è quella in cui il corrispettivo è rapportato alla quantità e alla qualità misurate dei rifiuti urbani conferiti da ogni singola utenza.
2. Entro e non oltre tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è attuato il passaggio al sistema della tariffa puntuale, in cui la quota di tariffa variabile per le utenze domestiche e non domestiche è calcolata in modo direttamente proporzionale alla quantità di rifiuto urbano residuo (RUR) conferito, o riconoscendo uno sconto commisurato ai quantitativi di frazioni differenziate conferite ovvero attraverso la combinazione dei predetti metodi, ferma restando l’applicazione del criterio di rilevazione e di contabilità riferito a ogni singola utenza.
3. Il compostaggio domestico e di comunità è incentivato con adeguato sconto sulla tariffa, pari ad almeno il 20 per cento dell’importo totale.
4. L’applicazione della tariffa puntuale come determinata dalle singole amministrazioni comunali sostituisce il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), previsto dall’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Art. 16
Ambiti di raccolta ottimali (ARO)
1. Le amministrazioni comunali sono titolari di privativa sui rifiuti urbani. Compete ai comuni, agendo in via autonoma o in associazione fra loro, la decisione finale sulla gestione dei rifiuti urbani nel proprio territorio.
2. Le operazioni di riduzione, di riuso e di raccolta domiciliare porta a porta dei rifiuti urbani, per il modello organizzativo adottato, per lo scopo che si prefiggono, per il coinvolgimento attivo dell’intera popolazione, costituiscono servizi pubblici locali ai sensi dell’articolo 13, comma 3.
3. Possono essere istituiti ambiti di raccolta ottimale (ARO), ai sensi dell’articolo 200, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, in bacini di utenza omogenei tra più comuni onde ottimizzare la filiera della raccolta differenziata, in funzione del riciclaggio e del recupero totale con l’esclusione dell’incenerimento del residuo secco e l’attuazione della relativa impiantistica di servizio. Essi sono titolari di potere di integrazione e di attuazione rispetto alle linee guida previste nel piano regionale di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e sono riconosciuti come autorità autonoma dalle regioni competenti, assumendo i poteri previsti dall’articolo 201 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
4. Gli ARO sono costituiti secondo una delle forme associative di cui agli articoli da 30 a 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Spetta agli enti associati individuare la forma, salvo apposita regolamentazione decisa dalla regione di appartenenza.
5. Le regioni provvedono ad aggiornare i rispettivi piani rifiuti, inserendo gli ARO costituiti e applicando la procedura prevista dall’articolo 200, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006. In tal caso, ai sensi dell’articolo 200, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006, è esclusa l’istituzione di ambiti territoriali ottimali (ATO).

Art. 17
Programma di riconversione impiantistica industriale
1. Allo scopo di finanziare il programma di riconversione impiantistica industriale finalizzata al riciclaggio sono istituiti nuovi certificati bianchi, quali sistema di incentivazione degli impianti riconvertiti ai sensi dell’articolo 6, comma 1, ed elencati nell’articolo 14, comma 2, mediante le risorse dell’apposito fondo di rotazione presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il fondo è alimentato dagli introiti derivanti dal tributo previsto al comma 2 del presente articolo e dal gettito fiscale di cui all’articolo 3, comma 2. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare coordina l’attività di riconversione secondo i criteri previsti dall’articolo 6, affidando la gestione dell’attività autorizzativa alle regioni.
2. I certificati bianchi per l’attività di riconversione impiantistica industriale sono finanziati attraverso il tributo di scopo denominato <>, dovuto, a favore del fondo di rotazione di cui al comma 1, dalle aziende che utilizzano contenitori per bevande in plastica, in metallo e in vetro, aventi capacità tra 0,1 e 3 litri, nella misura di euro 0,10 per ogni contenitore immesso nel mercato.
3. Le aziende che utilizzano il sistema di distribuzione con vuoto a rendere, incentivano la riconsegna per il riutilizzo ciclico dei contenitori tramite l’applicazione di una cauzione di euro 0,20 per ogni contenitore, rimanendo esenti dal tributo introdotto dal presente articolo e dal contributo ambientale Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), di cui all’articolo 224, comma 3, lettera h) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
4. Nell’ambito del programma nazionale di riconversione impiantistica industriale sono istituite forme di partecipazione permanente dei cittadini e delle comunità locali, rispettivamente con le istituzioni locali e con gli ambiti di raccolta ottimale (ARO) di riferimento, che garantiscano l’informazione e il confronto operativo sulle modalità di attuazione del programma.

Art. 18
Compiti del CONAI e dei distretti
1. Il Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), quale organismo privato senza fini di lucro, favorisce la nascita di ulteriori filiere di riciclaggio e di recupero attraverso i distretti di cui all’articolo 13, comma 2, evitando forme monopolistiche e consentendo ai comuni di accedere e di recedere dalle convenzioni in funzione della remuneratività del libero mercato.
2. I soggetti di cui al comma 1 assumono come missione istituzionale il passaggio dalla gestione del riciclaggio degli imballaggi differenziati alla gestione del riciclaggio di tutte le frazioni secche differenziate, nell’ambito di quanto previsto dagli obiettivi di riciclaggio specificati nell’articolo 1.
3. È garantita una remunerazione adeguata a favore dei soggetti preposti alla raccolta differenziata e al conferimento presso piattaforme di selezione convenzionate, per favorire la loro autosufficienza economica. I soggetti di cui al comma 1 adeguano il contributo ambientale CONAI, previsto dall’articolo 224, comma 3, lettera h) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, al fine di assicurare che il corrispettivo riconosciuto ai comuni, per la raccolta e per il trasporto, e alle aziende che operano come piattaforme di selezione convenzionate, sia pari al costo medio europeo riferito alle medesime operazioni.
4. Il CONAI e i distretti sono tenuti a investire almeno il 70 per cento delle risorse annue disponibili nell’attività di raccolta e di riciclaggio e almeno il 20 per cento nel settore della riprogettazione di prodotti e di imballaggi. La riprogettazione è svolta secondo le linee guida del Piano nazionale di prevenzione di cui all’articolo 22, redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e affidato per l’attuazione al Consiglio nazionale delle ricerche, all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e ai centri di ricerca sperimentale, in applicazione del criterio della responsabilità estesa dei produttori, provvedendo a finanziare i centri di ricerca e di riprogettazione industriale sul rifiuto residuo presso tutti gli impianti di discarica autorizzati, come previsto dall’articolo 7 della presente legge.
5. L’attività del CONAI è improntata alla totale trasparenza nella gestione dei flussi di materiali differenziati gestiti tramite i singoli consorzi di filiera. Allo scopo il Consorzio predispone un rapporto annuale che dia conto dell’esclusione del conferimento di frazioni differenziate a impianti di incenerimento/combustione e dei risultati della gestione espressi in termini di percentuale di materia riciclata e differenziata rispetto al totale.
6. Sulla base di un protocollo, sottoscritto dal CONAI e dai distretti con le aziende produttrici, con le associazioni nazionali di cittadini e di consumatori e con la grande distribuzione organizzata, l’immissione sul mercato dei beni di consumo è disciplinata in modo da minimizzare gli sprechi di materia e di energia. Nel nuovo ordinamento delle funzioni, è garantita la rappresentatività delle comunità locali attraverso la nomina, da parte degli ambiti di raccolta ottimale (ARO), di almeno un esperto in ogni ambito onde costituire un collegio civico nazionale quale organismo partecipante, con diritto di voto, al consiglio di amministrazione del CONAI stesso.

Art. 19
Controllo e monitoraggio
1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, le Aziende regionali per la protezione ambientale, le regioni, le province, i comuni e le comunità locali tramite propri rappresentanti e tecnici svolgono il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del piano di riconversione industriale, attraverso un tavolo regionale permanente convocato dal Ministero congiuntamente alle regioni interessate, i cui lavori sono svolti in collaborazione con il Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) e con i distretti. Il tavolo è convocato in forma plenaria con cadenza almeno semestrale per il confronto sullo stato di attuazione e sulle azioni intraprese con i soggetti imprenditoriali territoriali.

Art. 20
Piano di monitoraggio sanitario
1. Il Ministero della salute, le regioni e le province interessate, in collaborazione con l’Istituto Superiore della Sanità, il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Agenzia nazionale per le tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, le Aziende regionali per la protezione ambientale, gli ordini professionali dei medici e le comunità locali provvedono alla stesura, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un piano di monitoraggio sanitario e ambientale per individuare le aree e i bacini industriali ove la presenza di discariche, di impianti di incenerimento/combustione e di attività industriali illegali ha determinato un danno ambientale e l’insorgenza di patologie alla salute pubblica.
2. Il piano identifica i soggetti responsabili del danno ambientale, individua le attività di bonifica sul territorio e definisce le azioni di prevenzione e di cura delle patologie riscontrate, con utilizzazione di opportuni bio-indicatori, includendo la mappatura del latte materno effettuata su un campione significativo di popolazione residente e quella del latte vaccino prelevato in aziende zootecniche e di lavorazione del latte operanti nell’area.
3. In relazione al piano di cui al comma 2, sono istituiti, ove non previsti o funzionanti, appositi registri sui tumori riscontrati nelle aree e nei bacini industriali ivi delimitati, conferendo le risorse e i poteri necessari alle strutture sanitarie locali. Una particolare tutela sanitaria è riconosciuta agli operatori e ai lavoratori impiegati nei predetti impianti attraverso forme di prevenzione, di monitoraggio e di profilassi specifica, attuate da strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, finanziate, in entrambi i casi, dai gestori degli impianti stessi.
4. La gestione dei rifiuti di amianto è svolta adottando misure dirette a promuovere e a sostenere sia la ricerca nell’ambito delle alternative ecocompatibili sia le tecnologie che se ne avvalgono, nonché a garantire procedimenti quali l’inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto, ai fini dell’inattivazione delle fibre di amianto attive e della loro conversione in materiali che non mettano a repentaglio la salute pubblica. Pertanto, ai fini del trattamento di rifiuti di amianto, si applica la seguente disciplina:
a) nel rispetto delle disposizioni in materia di salute di cui alla direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in data 30 novembre 2009, qualsiasi rifiuto contenente amianto, indipendentemente dal contenuto di fibre, è classificato come rifiuto pericoloso, ai sensi della decisione della Commissione delle Comunità europee 2000/532/CE in data 3 maggio 2000, e successive modificazioni;
b) temporaneamente e fino all’entrata in funzione degli impianti di cui alla successiva lettera c), tali rifiuti possono essere smaltiti esclusivamente in specifiche discariche per rifiuti pericolosi, in conformità della direttiva 1999/31/CE del Consiglio dell’Unione europea in data 26 aprile 1999. Considerato che il predetto trattamento non assicura l’eliminazione definitiva del rilascio di fibre di amianto nell’ambiente, in particolare nell’aria e nelle acque di falda, è sospeso, a titolo precauzionale, il rilascio di nuove autorizzazioni per lo smaltimento di rifiuti di amianto in discariche per rifiuti pericolosi;
c) qualsiasi rifiuto contenente amianto deve essere trattato in appositi nuovi impianti, testati secondo un protocollo stabilito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero della salute avvalendosi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e degli enti pubblici di ricerca, che certifichi le migliori tecnologie disponibili di trattamento e di inertizzazione, fermo restando l’obbligo di informazione nei confronti della popolazione interessata.

Art. 21
Reato di danno ambientale
1. La violazione delle disposizioni contenute negli articoli da 255 a 261 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dà luogo a ipotesi di danno ambientale. Le sanzioni penali ivi previste sono aumentate di un terzo nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio dell’attività industriale, hanno causato danno all’ecosistema naturale e alle comunità residenti per imprudenza, per imperizia o per inosservanza dolosa o colposa delle norme in materia di tutela ambientale.
2. I soggetti responsabili, oltre a essere penalmente perseguiti ai sensi del comma 1, sono tenuti, a titolo di responsabilità civile o amministrativo-contabile, al risarcimento del danno a favore delle comunità locali e dello Stato, oltre all’esecuzione delle opere di bonifica necessarie.
3. Gli inceneritori in dismissione, siti in un raggio di trenta chilometri dai punti di rilevamento dove si registra il superamento, per almeno 2 giorni nell’arco di 15 giorni, dei limiti di legge di concentrazione nell’aria di materia particolata PM10 e PM2,5, sono spenti entro il giorno successivo a quello del secondo sforamento e non possono essere rimessi in esercizio prima che siano trascorsi almeno 30 giorni dall’ultimo superamento dei predetti limiti.

Art. 22
Piano nazionale di prevenzione
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare redige un Piano nazionale di prevenzione mirato alla riprogettazione industriale, che includa criteri di riduzione dei rifiuti organici e che detti linee guida operative e generali al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) e ai distretti per l’attuazione del principio di responsabilità estesa del produttore e del criterio progettuale-industriale della decostruibilità e della riciclabilità totale delle singole parti componenti entro il 2020, trasmettendolo alle regioni per il recepimento nei piani regionali di gestione dei rifiuti e per la determinazione degli obiettivi territoriali da realizzare entro il 2020.
2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ogni produttore di beni materiali indica, per singolo bene e per singolo componente, le modalità e le tecnologie di riciclaggio. Ai fini del finanziamento delle attività di ricerca tecnologica sui materiali, il CONAI e i distretti provvedono a costituire, con le risorse previste all’articolo 18, comma 4, un fondo vincolato per la riprogettazione di prodotti e di componenti di prodotti mediante le procedure di affidamento di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. Le università pubbliche, gli istituti nazionali di ricerca e i centri di ricerca di cui all’articolo 13, comma 5, forniscono il necessario supporto all’esplicazione delle predette attività.
3. A partire dal 2016, sono vietate la produzione e l’importazione di beni non riciclabili e/o non compostabili al 100 per cento.
4. È fatto obbligo alle aziende produttrici di beni materiali di utilizzare una percentuale minima di materia post consumo. Il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, emana, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, un decreto che fissi le percentuali minime per ogni settore merceologico.
5. Le aziende produttrici di beni materiali immessi nel circuito del consumo e, in particolare, nel circuito della grande distribuzione organizzata (GDO) hanno l’obbligo di indicare in etichetta le frazioni merceologiche di cui è composto il bene e le corrette modalità di smaltimento, anche con riferimento alle disposizioni dell’articolo 2, commi 4, 5 e 6.
6. Gli enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, garantiscono che i manufatti e i beni utilizzati all’interno degli appalti affidati siano realizzati con almeno il 75 per cento di materiale riciclato, in analogia a quanto previsto dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 maggio 2003, n. 203.

Art. 23
Piani di razionalizzazione della filiera alimentare e dei rifiuti organici
1. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con i Ministeri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, sentiti i rappresentanti dell’industria di trasformazione e del commercio, i rappresentanti della grande distribuzione organizzata (GDO), le associazioni ambientaliste, le associazioni degli agricoltori, le associazioni dei consumatori e il Consorzio italiano compostatori, redige, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un piano di tutta la filiera agro-alimentare dalla produzione al consumo, per la razionalizzazione e l’efficiente utilizzo delle risorse agro-alimentari, per l’uso più corretto degli alimenti in scadenza, dei sottoprodotti e degli scarti alimentari al fine di ridurre gli sprechi di prodotti e relativi imballaggi, e allo scopo di destinare quanto non più utile ai fini alimentari umani e zootecnici alla ricostituzione della fertilità dei suoli contrastando i processi di desertificazione in atto.
2. Sono istituite le banche alimentari, intese come luoghi pubblici gestiti dai comuni in collaborazione con le principali organizzazioni umanitarie, con le associazioni di volontariato e con le organizzazioni non lucrative di utilità sociale del territorio, cui conferire il surplus alimentare proveniente da circuiti distributivi commerciali, da aziende di produzione, da fondazioni e da singoli cittadini. La donazione per scopi di solidarietà civile e di sostegno al disagio sociale di scorte alimentari integre e non scadute è interesse dei singoli comuni al fine di ridurre il conferimento nel sistema di raccolta dei rifiuti urbani e di sottrarle allo smaltimento.
3. Ogni regione svolge un’indagine sul proprio territorio per individuare le zone con scarsa presenza di sostanza organica, con valore percentuale inferiore al 3,5 per cento in peso, ed emanare norme per il suo recupero, mediante l’utilizzo preferenziale di compostato derivante da raccolta selezionata di rifiuti, anche prevedendo allo scopo il riconoscimento di incentivi.
4. La raccolta differenziata della frazione organica umida è effettuata obbligatoriamente presso tutte le utenze che non praticano il compostaggio domestico o collettivo e di zona, che sono le modalità prioritarie ai fini della riduzione a monte dei rifiuti. Per le abitazioni isolate, le amministrazioni comunali possono rendere obbligatorio il compostaggio domestico.
5. È consentito e promosso il compostaggio collettivo di caseggiato e di zona, in particolare in aree urbane ad alta densità in cui non è autorizzabile il compostaggio domestico, regolamentato dai comuni per l’utilizzazione di aree verdi pubbliche urbane concesse a comunità cittadine ai fini del deposito di frazioni organiche domestiche compostabili per la realizzazione di orti e di giardini urbani anche a fini didattici e di promozione dell’autocompostaggio e dell’autoproduzione alimentare.
6. In tutte le aree di verde pubblico aventi superficie superiore a un ettaro, è obbligatorio allestire una zona per la trasformazione in compostato della frazione organica derivante dagli sfalci e dalle potature leggere della stessa area nonché delle altre aree verdi del comune, fino a un massimo di 1.000 tonnellate/anno per ogni zona. Queste zone, tramite apposito regolamento comunale, possono essere utilizzate anche per la trasformazione in compostato della frazione vegetale derivante dalle aree verdi private circostanti.

Art. 24
Centri per il riuso e per il riciclo
1. Sono istituiti i centri per il riuso e per il riciclo al fine del riutilizzo di prodotti e di componenti di prodotti esclusi dal circuito per la raccolta differenziata domiciliare, di cui è ancora possibile il riuso anche attraverso processo di riparazione. Entro il 2016 deve essere realizzato almeno un centro di raccolta, di cui all’articolo 183, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, ogni 20.000 abitanti per il conferimento delle frazioni di rifiuto urbano non riciclabile, ingombrante e pericoloso. Tale centro di raccolta è affiancato dal centro per il riuso e per la riparazione in cui i prodotti e i componenti di prodotti suscettibili di possibile riuso sono indirizzati verso aree di deposito per le successive fasi di riparazione e di riuso, senza essere classificati come rifiuti.
2. La gestione delle strutture di cui al comma 1 è affidata, in via preferenziale ma non esclusiva, alle associazioni di volontariato, alle cooperative sociali, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale del territorio.

Art. 25
Ruolo del volontariato e della cooperazione sociale
1. Le associazioni di volontariato, le cooperative sociali e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale possono effettuare saltuariamente, con progetti e/o con campagne di sensibilizzazione e di informazione temporalmente limitate, la raccolta di frazioni differenziate di rifiuti urbani non pericolosi per finanziare le proprie attività sociali, previa comunicazione al comune interessato che indichi il soggetto responsabile e il periodo di attività previsto che non può, in ogni caso, eccedere i sei mesi.
2. Tale attività esclude il requisito di iscrizione all’albo dei gestori ambientali e la compilazione del formulario di accompagnamento dei materiali, in deroga alle disposizioni vigenti.

Art. 26
Accesso all’informazione e partecipazione dei cittadini
1. Le pubbliche amministrazioni mantengono aggiornate le informazioni in loro possesso relative alla materia oggetto della presente legge e, allo scopo, detengono elenchi, registri e schedari accessibili al pubblico. Devono essere rese operative, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, banche dati elettroniche, liberamente accessibili dai cittadini, comprendenti le relazioni sulla situazione dell’ambiente, la legislazione, i piani o le politiche nazionali, le convenzioni internazionali e i contratti di affidamento della gestione del servizio.
2. I cittadini utenti sono informati, fin dalla fase iniziale dei processi decisionali, sui seguenti elementi:
a) l’oggetto sul quale deve essere presa la decisione;
b) la natura della decisione da adottare;
c) l’autorità competente;
d) la procedura prevista, comprese le informazioni di dettaglio sulla procedura di consultazione;
e) la procedura di valutazione dell’impatto ambientale, ove prevista.
3. I tempi del procedimento devono permettere una reale partecipazione del pubblico anche nel caso di impianti non soggetti a verifica di assoggettabilità ambientale, nella forma di valutazione di impatto ambientale (VIA), di autorizzazione unica ambientale (AUA) o di autorizzazione integrata ambientale (AIA), attraverso la comunicazione tempestiva sui principali organi di stampa locali e attraverso la condivisione sul sito web istituzionale dei contenuti dei progetti presentati, almeno 60 giorni prima rispetto alla data prevista per la conclusione dell’iter decisionale. Chiunque ha il diritto di presentare osservazioni al progetto, che saranno considerate parte integrante del processo decisionale.
4. La partecipazione dei cittadini deve essere assicurata rendendo note le procedure di autorizzazione delle attività di tipo industriale che prevedano il recupero e/o il trattamento anche chimico di beni o materiali post consumo e di quelle relative alle discariche di materiali pericolosi. La decisione finale di autorizzazione delle attività suddette è adottata tenendo conto del risultato della partecipazione dei cittadini.
5. I gestori dei servizi di raccolta, di trasporto, di trattamento, di recupero e di smaltimento dei rifiuti devono fornire alle amministrazioni locali servite tutti i dati tecnici ed economici relativi al servizio. Il mancato rilascio dei dati costituisce motivo di risoluzione per inadempimento del contratto.
6. Le amministrazioni locali sono tenute a rendere pubblici tutti i dati tecnici ed economici della gestione dei rifiuti, svolta in economia o mediante società partecipate, e a garantire l’accesso alle banche dati con fruizione diretta dai siti web istituzionali anche in caso di esternalizzazione del servizio.
7. Lo Stato, in fase di attuazione della presente legge, e le regioni, in fase di revisione e di attuazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, garantiscono il coinvolgimento diretto dei cittadini tramite la costituzione di un comitato di garanti che preveda la presenza di tecnici e di studiosi dei vari settori, indicati anche dagli ordini professionali, dalle associazioni e dai comitati di cittadini impegnati sul tema dei rifiuti, dell’ambiente e della salute. Compete al comitato dei garanti verificare che il processo evolva in modo corretto e trasparente in tutte le fasi e che l’informazione al pubblico sia chiara ed esaustiva, controllando e garantendo il contemperamento e l’approfondimento delle diverse posizioni che si sviluppano nei momenti di discussione pubblica o nel corso dei lavori dei gruppi nei vari settori.

Art. 27
Disposizioni finanziarie
1. La presente legge non comporta nuove o maggiori spese. Alla copertura finanziaria degli oneri da essa derivanti si provvede, infatti, mediante gli introiti provenienti:
a) dal gettito dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’articolo 3, comma 2, destinato al fondo di rotazione previsto dall’articolo 17, comma 1;
b) dai tributi speciali di cui agli articoli 10 e 17, comma 2;
c) dall’addizionale del 20 per cento sul tributo speciale prevista dall’articolo 205, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni;
d) dall’applicazione delle sanzioni previste in caso di violazione della presente legge.

Art. 28
Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
2. La presente legge, munita del sigillo di Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge dello Stato.


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