Si fa presto a dire rame . Sono tante, e provengono da più parti: sono le voci di chi invita l’Italia a votare contro l’ipotetica riduzione del tetto massimo di rame utilizzabile in agricoltura.
La commissione PAFF (Plants, Animals, Food and Feed) della Commissione Europea si è infatti riunita il 24 maggio per valutare il rinnovo della concessione, in scadenza il primo gennaio 2019. L’idea generale della commissione pare orbiti intorno a due idee: rinnovare la concessione per ulteriori 5 anni invece di 7 e ridurre la dose massima di rame, da 6 kg per ettaro a 4 kg per ettaro.
Il parere contrario, espresso da Coldiretti ma anche da associazioni dedite all’agricoltura biologica come la FIVI, parte da un presupposto difficilmente contestabile: nella lotta alla peronospora, il rame ad oggi è difficilmente sostituibile da prodotti analoghi, specialmente per le aziende in regime biologico e biodinamico. Una contraddizione, quella tra impiego di rame e visione biologica dell’agricoltura, spesso evidenziata dai detrattori, pronti a ricordare quanto il rame, metallo pesante, sia capace di accumularsi nel terreno senza ulteriori degradazioni, saturando il suolo, inquinando le falde acquifere e avvelenando microrganismi e lombrichi.
Se è vero che parlare nella stessa frase di regime biologico e assenza di pesticidi, nel caso di impiego di rame, è un paradosso, d’altro canto è ingiusto liquidare la visione ambientale di chi sarebbe assai disposto a farne a meno in cambio di validi, e più biodegradabili, sostituti. Paradossale, d’altro canto, è la legge italiana, restia a lasciare spazi di manovra ai singoli operatori, idealmente impediti a dosare in maniera discrezionale il quantitativo minimo di pesticida necessario alle loro esigenze. Il rame, in quanto pesticida, obbedisce agli indirizzi operativi in materia di etichettatura di prodotti fitosanitari, forniti dal Ministero della Salute, dove l’obbligatoria indicazione del dosaggio minimo da impiegare per una determinata area non tiene conto delle singole casistiche e impedisce all’agricoltore, almeno in teoria, di operare al ribasso. Sarà la stessa cosa distribuire il medesimo quantitativo minimo di rame su vigneti dallo sviluppo fogliare differente, o infestati in grado diverso?
Se i prodotti alternativi (biofortificanti, corroboranti, alghe, chitosano, per citarne alcuni) hanno dimostrato la propria efficacia come compagni d’arme del rame metallo, la strada per il suo abbandono definitivo sembra ancora lunga. Non rimane che attendere la fine dei lavori della Commissione e confidare, un po’ nella ricerca e un po’ nel buonsenso.
Gherardo Fabretti venerdì 8 giugno 2018 08:30:00
© Associazione Italiana Sommelier (ed altri contributi)
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