Storie di semi: dalla Siria al Mediterraneo alla Thailandia alle grandi foreste a rischio
di Vania Statzu
Tempo fa abbiamo raccontato dei diversi centri in cui si conservano i semi delle diverse varietà di piante per preservarli dall’estinzione. Il centro più famoso è lo Svalbard Global Seed Vault, creato otto anni fa per proteggere la biodiversità del pianeta: un tunnel nell’Artico (temperatura costante -18 gradi) che protegge 860 mila tipi di semi diversi da calore, catastrofi e disastri naturali, cambiamento climatico, conseguenze delle guerre anche nucleari.
In questi otto anni, tutte le nazioni del mondo hanno inviato i semi delle colture autoctone e di quelle più utilizzate. Quest’anno è arrivata la prima richiesta di prelievo e dall’ICARDA (International Center for Agricultural Research in Dry Areas). Si tratta di un centro di ricerca specializzato nella raccolta di semi di colture resistenti al caldo e alla siccità: nessuno sa cosa è accaduto alla sua banca dei semi che stava nella sua sede di Aleppo in Siria. Fortunatamente, il centro era riuscito ad inviare dei campioni dei propri semi alle Isole Svalbard da dopo sono ripartiti alla volta delle sedi ICARDA in Marocco e Libano dove verrà ricreata la banca dei semi: 130 pacchi con 116mila campioni, soprattutto di frumento, orzo e legumi, che permetteranno agli agricoltori della regione di riavviare (appena possibile) le coltivazioni ed ai ricercatori di studiare ibridi adatti alle condizioni estreme. In futuro, i semi “presi in prestito” verranno inviati nuovamente allo Svalbard Global Seed Vault.
La tutela delle varietà tradizionali, preservando quelle varietà che hanno sviluppato caratteristiche che le rendono adatte a climi con particolari caratteristiche, è uno degli obiettivi di tanti piccoli agricoltori in giro per il mondo. In Italia, negli ultimi mesi tanti articoli hanno raccontato la silenziosa rivoluzione di agricoltori sardi e siciliani che si stanno riappropriando delle varietà tradizionali di grano, adatte ai climi aridi delle due isole, ma escluse dalle politiche nazionali e comunitarie (e dai relativi sussidi). Tutela della biodiversità, ma anche fuga dalle trappole del commercio mondiale dei semi governato dalle multinazionali e tutela della salute umana compromessa dal consumo delle varietà “moderne” di grano, troppo ricche di glutine.
Per fare un albero ci vuole un seme, scriveva Gianni Rodari: così il governo thailandese ha deciso di sparare con gli aerei delle bombe di semi per tentare di recuperare parte delle foreste perse negli ultimi decenni. Non si tratta di una proposta originale: già negli anni ’30 aerei militari statunitensi vennero utilizzati per lanciare semi allo scopo di riforestare alcune aree delle Hawaii, ma fu solo nel 1999 che la Lockheed Martin riuscì a piantare 900 mila alberi in un solo giorno con questa tecnica.
Partendo da qui, la start up inglese BioCarbon Engineering vuole utilizzare i droni per piantare 1 miliardo di alberi all’anno e combattere la deforestazione in Africa e nella Foresta Amazzonica. L’obiettivo finale è riuscire a riportare a foresta 500mila ettari di terreno in 5-7 anni. Alla base dell’idea è la volontà di ridurre notevolmente i costi di riforestazione: infatti, i droni rilasceranno dei baccelli biodegradabili che contengono semi germinati immersi in un gel ricco di sostanze nutritive. Arrivati a terra, i baccelli rilasceranno in breve tempo i semi, liberi di attecchire nel terreno.
I droni serviranno anche per verificare l’andamento della semina nei periodi successivi. In pratica si tratta di contrastare la deforestazione industriale con un processo di forestazione industriale, su larga scala e con metodi organizzativi tipici delle più accurate sfide industriali.
Oggi abbiamo parlato di semi e di varietà colturali tradizionali. Per saperne di più:
– Icarda Website Facebook Twitter
– BioCarbon Engineering Website Facebook Twitter
– Slow Food Website Facebook Twitter
24 agosto 2016 Foto di Vania Statzu su Tiscali redazione

Categorie: Il Contadino

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